Risarcimento da ingiusto TSO e il danno subito da chi non ha nulla – Cassazione 33290 del 19/12/2024

Introduzione al caso concreto

La vicenda sottoposta alla Corte di Cassazione ha origine dalla richiesta di risarcimento danni non patrimoniali avanzata dalla sig.ra Ga.Pa. a seguito della sua illegittima sottoposizione a un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Il TSO, disposto per un periodo di nove giorni, è stato successivamente annullato per carenza di adeguata motivazione nell’ordinanza sindacale che ne costituiva il presupposto. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda risarcitoria della ricorrente per mancanza di prova del danno conseguenza, con argomentazioni che escludevano l’esistenza di un pregiudizio rilevante anche alla luce della condizione psicologica pregressa della stessa.

L’ordinanza della Cassazione si concentra su diversi punti cruciali relativi alla nozione di danno non patrimoniale e al suo accertamento, ribadendo principi di tutela costituzionale e convenzionale dei diritti fondamentali.

Analisi del passaggio chiave

Uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza riguarda la rilevanza del danno non patrimoniale anche nei confronti di soggetti psicologicamente fragili e socialmente vulnerabili. La Corte ha sottolineato che:

“I comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica.”

Danno non patrimoniale e fragilità psicologica

La Corte ha ribadito che il danno non patrimoniale comprende diverse componenti, tra cui:

  1. Sofferenza pura: Si riferisce al dolore interiore, alla sofferenza psicologica e alla percezione di lesione della dignità individuale.
  2. Danno dinamico-relazionale: Coinvolge il pregiudizio alla vita di relazione e alla possibilità di interazione sociale.

La peculiarità di questo caso è l’accento posto sul diritto di ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione di fragilità o marginalità sociale, a essere protetta contro comportamenti illeciti che possano ulteriormente compromettere il suo equilibrio psicofisico e la sua reputazione.

Riflessioni critiche

La motivazione della Cassazione segna un passo rilevante nella giurisprudenza in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, evidenziando:

  • Universalità della tutela: Ogni individuo, a prescindere dalle sue condizioni di fragilità, gode di eguale diritto alla tutela contro le lesioni dei diritti fondamentali. Negare il risarcimento basandosi sulla pregressa condizione di vulnerabilità equivarrebbe a perpetuare una discriminazione inaccettabile.
  • Principio di integrità personale: La libertà personale e la dignità sono diritti inviolabili sanciti dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, nonché dall’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). L’illegittima privazione della libertà costituisce, di per sé, un’offesa alla dignità umana, suscettibile di risarcimento.

Conseguenze applicative

La decisione della Cassazione solleva implicazioni rilevanti per l’accertamento del danno non patrimoniale:

  1. Onere della prova: La prova del danno conseguenza non può essere esclusa a priori in presenza di condizioni di fragilità del soggetto. Al contrario, richiede un accertamento più approfondito, anche tramite consulenza tecnica d’ufficio.
  2. Valutazione del danno in presenza di fragilità: La condizione psicologica e sociale pregressa non può costituire un ostacolo al riconoscimento del danno. Al contrario, deve essere considerata per valutare la gravità delle conseguenze subite.

Conclusioni

L’ordinanza n. 33290/2024 rappresenta un richiamo fondamentale alla necessità di assicurare una protezione effettiva ai diritti fondamentali di tutti gli individui, anche (e soprattutto) di quelli psicologicamente fragili o socialmente emarginati. L’affermazione della Cassazione che “ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica” evidenzia un approccio inclusivo e rispettoso della dignità umana, che dovrebbe ispirare sia le future decisioni giurisprudenziali che le politiche normative.

In definitiva, il caso analizzato conferma l’importanza di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, per garantire un’effettiva tutela dei diritti inviolabili della persona.

Errato intervento alla colonna vertebrale per ernia e spondilolistesi L5-S1

Franco, un uomo di cinquant’anni, aveva riposto le sue speranze di guarigione in un intervento chirurgico di discectomia per risolvere un persistente dolore lombare, dovuto a un’ernia discale. Tuttavia, ciò che avrebbe dovuto essere una soluzione si trasformò in un incubo. Dopo mesi di sofferenze fisiche, aggravate da frustrazione e incertezze, Franco decise di rivolgersi a Iuremed, un team di esperti specializzati in casi di malasanità, per far luce sugli errori che avevano compromesso la sua salute.

La discectomia: un intervento delicato

La patologia di base del paziente era una ernia discale lombare associata a spondilolistesi L5-S1, una condizione che comporta lo scivolamento anomalo di una vertebra sull’altra, causando instabilità vertebrale e compressione delle strutture nervose. Questa situazione determinava una sintomatologia caratterizzata da persistente dolore lombare (lombalgia), limitazione funzionale e sofferenza radicolare. La diagnosi iniziale giustificava l’indicazione per un intervento chirurgico di stabilizzazione e discectomia per alleviare la compressione nervosa e migliorare la stabilità vertebrale.

La discectomia è un intervento chirurgico utilizzato per rimuovere una porzione o l’intero disco intervertebrale danneggiato, al fine di alleviare la compressione sui nervi spinali. Si tratta di una procedura complessa che richiede precisione estrema e un’attenta valutazione preoperatoria per garantire il successo. Un errore in qualsiasi fase del processo, dalla diagnosi iniziale alla gestione post-operatoria, può comportare conseguenze disastrose, come accadde nel caso di Franco.

Gli errori e le responsabilità mediche


Nel caso di Franco, il Tribunale diede incarico a dei Consulenti Tecnici d’Ufficio (CTU) di esaminare i dettagli del suo percorso clinico. Il rapporto finale evidenziò una serie di errori da cui derivavano precise responsabilità in capo ai medici coinvolti..

Secondo i Consulenti Tecnici d’Ufficio, nel trattamento medico-chirurgico del paziente emersero diverse condotte colpose. Durante il primo intervento chirurgico, sebbene il consenso informato firmato dal paziente prevedesse il posizionamento di una “Cage” intersomatica e la discectomia, la procedura eseguita si limitò al posizionamento di viti peduncolari e barre metalliche, senza eseguire quanto promesso. Questo determinò un’artrodesi instabile, causando una ripresa della sintomatologia lombalgica e, successivamente, la rottura delle viti sacrali.

Anche il secondo intervento, pur essendo indicato a causa della disfunzione del sistema di artrodesi, fu eseguito in modo non corretto. Non vennero infatti eseguite la discectomia e la cruentazione delle superfici articolari necessarie per garantire una maggiore stabilità dell’artrodesi, compromettendo così l’efficacia del trattamento e causando la mobilizzazione della “Cage”.

Il terzo intervento, eseguito per sostituire la “Cage”, non risolse i problemi a causa di una preparazione incompleta dello spazio intersomatico, che portò a un nuovo affossamento della “Cage” stessa. Tali errori resero necessario un quarto intervento chirurgico presso un altro centro, dove finalmente venne correttamente eseguita la discectomia, accompagnata dalla cruentazione delle superfici articolari e dal posizionamento di nuove “Cage”. Questo intervento stabilizzò l’artrodesi e attenuò la sintomatologia del paziente, anche se i danni funzionali non risultarono completamente risolti.

I CTU evidenziarono che tali condotte colpose causarono un prolungamento dello stato di malattia, una persistente instabilità vertebrale, sofferenza radicolare e mielica, e una maggiore morbilità legata alle ripetute incisioni e manipolazioni chirurgiche.

Le conclusioni
Il rapporto dei CTU sottolineò come questi errori sarebbero stati evitati se i medici avessero seguito gli standard di diligenza richiesti. La documentazione medica analizzata rivelò una catena di responsabilità che portò a conseguenze dirette e gravi sulla salute di Franco. Grazie al supporto di Iuremed, il paziente ottenne un quadro chiaro delle sue possibilità legali, avviando un procedimento per il riconoscimento delle responsabilità e il risarcimento dei danni subiti.

La Disciplina del Risarcimento del Danno Patrimoniale in Caso di Premorienza Causata da Errore Medico – Corte di cassazione Civile, Sez. III, 09/12/2024, n. 31684

La recente ordinanza della Corte di cassazione Civile, Sez. III, n. 31684 del 9/12/2024, offre uno spunto importante per riflettere sui criteri di quantificazione del danno patrimoniale in caso di premorienza causata da errore medico. Il tema si sviluppa attorno alle distinzioni tra danno emergente e lucro cessante, nonché sulla rilevanza del concetto di “rischio latente” per la liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale.

La giurisprudenza distingue il danno emergente dal lucro cessante come componenti fondamentali del danno patrimoniale. Il primo riguarda le spese sostenute dal danneggiato, ad esempio per cure mediche o adattamenti dell’ambiente domestico. Il secondo si riferisce invece alla perdita di redditi futuri o di opportunità economiche, derivante dall’illecito subito.

Nel caso analizzato, il danno emergente comprendeva i costi affrontati per l’assistenza sanitaria e le necessità di cura della vittima, mentre il lucro cessante era legato alla perdita della capacità lavorativa e ai mancati redditi futuri che il danneggiato avrebbe potuto percepire se non fosse intervenuto l’illecito. La Corte, esaminando queste due componenti, ha sottolineato la necessità di una valutazione rigorosa e personalizzata.

Il concetto di rischio latente e la sua applicazione limitata al danno non patrimoniale

Uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza è la chiara distinzione tra l’applicabilità del concetto di rischio latente al danno non patrimoniale e la sua esclusione per il danno patrimoniale. La Corte afferma:

“Il rischio latente — rappresentato dalla potenziale progressione offensiva insita nella lesione permanente — è un criterio utilizzabile per valutare il danno non patrimoniale, in quanto incide sulla qualità della vita e sulle sofferenze morali della vittima. Tuttavia, tale concetto non è applicabile per la determinazione del danno patrimoniale, che richiede parametri oggettivi e specifici legati alla perdita economica concreta.”

Questo passaggio esclude ogni automatismo che porti a un incremento del risarcimento patrimoniale basato su fattori di incertezza, ribadendo che il risarcimento deve essere ancorato a elementi prevedibili e verificabili, come la durata media della vita e il reddito medio nazionale.

Così motiva la Corte:

“Pertanto, sotto il profilo del rispetto del principio di integralità del risarcimento (art. 1223 c.c.), la circostanza che l’invalidità permanente sia cagionata dall’illecito e che questo abbia negativamente inciso sulla stessa aspettativa di vita in concreto della persona danneggiata, comporta che i danni-conseguenza da essa derivanti, quello biologico e quello patrimoniale da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, in quanto entrambi proiettantisi nel futuro, debbano trovare criteri sostanzialmente omogenei di liquidazione.

In tal senso, come si è visto, nella liquidazione del danno biologico la valorizzazione del dato della minore speranza di vita si lega al correttivo della inclusione del “rischio latente” nella costruzione del barème, ma là dove ciò non accada la liquidazione stessa deve effettuarsi tenendo conto del parametro della durata media nazionale della vita.

Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa il correttivo anzidetto non è, logicamente, utilizzabile, non essendovi un barème medico-legale che misuri la perdita della capacità produttiva di reddito lavorativo, e, pertanto, residua e trova applicazione il criterio della durata media nazionale della vita”.

L’irrilevanza della premorienza nel risarcimento del lucro cessante

Nel caso in esame, la premorienza era stata determinata dall’illecito, ma la Corte ha escluso che ciò potesse ridurre il risarcimento, seguendo il principio di integralità. Essa ha chiarito:

“L’aspettativa concreta di vita del danneggiato non può giustificare una riduzione del risarcimento patrimoniale, poiché il parametro deve essere quello della durata media della vita, al fine di evitare che il responsabile tragga vantaggio dalla condizione che egli stesso ha determinato.”

Questa affermazione conferma che, anche in presenza di una speranza di vita ridotta, il calcolo deve essere effettuato tenendo conto delle opportunità economiche che il danneggiato avrebbe avuto se avesse vissuto una vita media, garantendo così una piena compensazione.

“Non è pertinente con le argomentazioni che precedono il rilievo dell’Azienda ULSS per cui, in tal modo, si verrebbe ad “attribuire al risarcimento una funzione punitiva” e non già riparatoria e ciò sarebbe stato evidenziato da questa stessa Corte “in materia di (non risarcibilità del) danno tanatologico” anche con la più recente Cass. n. 28989/2019.

Si è, infatti, già messo in risalto come nelle ipotesi in esame operi, in funzione riparatoria e non già punitiva, il principio di integralità del risarcimento e il precedente giurisprudenziale richiamato dall’Azienda ULSS non smentisce affatto tale approdo, avendo deciso sul ben diverso caso del “danno, iure haereditario, per la perdita, da parte della de cuius, del bene della vita in sé considerato, ossia di un danno in sé diverso, tanto dal danno alla salute, quanto dal c.d. danno biologico terminale e dal c.d. danno morale terminale” (pp. 14/15 della citata Cass. n. 28989/2019).

Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: il danno patrimoniale futuro da mancato guadagno per la perdita totale della capacità di lavoro in conseguenza dell’illecito va liquidato facendo riferimento al parametro dell’aspettativa di vita media del soggetto danneggiato e non alla sua minore aspettativa di vita in concreto accertata”.

La rilevanza della premorienza nel risarcimento del danno emergente

Nel caso del danno emergente, come nel caso in esame relativo alle spese mediche e di assistenza, l’esborso è correlato al periodo di vita residua della vittima. Tale danno è intrinsecamente legato alla permanenza in vita del danneggiato: la morte pone naturalmente fine alla necessità di tali spese, escludendo ogni ulteriore pregiudizio patrimoniale.

“È, infatti, corretta la decisione della Corte territoriale di liquidare, in favore di Ca.Ga., il danno futuro per le spese mediche e di assistenza tenuto conto dell’aspettativa di vita residua di anni 20 e non della “vita media di un soggetto di sesso femminile (82 anni)”.

Trova, infatti, applicazione il principio, consolidato, per cui (secondo quanto qui specificamente interessa) il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per spese mediche e di assistenza a persona invalida permanente al 95%), deve essere liquidato, ai sensi dell’art. 1223 c.c., stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell’esborso e, quindi, per il numero di anni che lo stesso verrà sopportato (tra le altre: Cass. 11393/2019; Cass. n. 17815/2019; Cass. n. 13881/2020; Cass. n. 13727/2022; Cass. n. 16844/2023).

Di qui, pertanto, la coerente precisazione della citata Cass. n. 11393/2019 (che ha confermato la decisione impugnata in punto di liquidazione dell’importo annuale delle spese mediche dovute per assistenza fisioterapica per la prognosi di durata della vita del danneggiato, calcolata in misura pari a 35 anni) secondo cui, ai fini della liquidazione di detto danno, rileva non la speranza di vita media nazionale, ma, per l’appunto, la prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato (per cui al criterio della “vita media” potrà farsi riferimento soltanto nel caso in cui non sia possibile una prognosi specifica sulla durata della vita del danneggiato medesimo: Cass. n. 13727/2022).

Tale principio non confligge con la diversa conclusione che, come detto (al par. 15, che precede), risulta pertinente al danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, poiché vengono in rilievo, secondo la distinzione posta dallo stesso art. 1223 c.c., danni diversamente caratterizzati.

Nell’un caso (danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa) si tratta di un “mancato guadagno” e, quindi, della perdita di una utilità futura che il danneggiato avrebbe acquisito se fosse rimasto in vita più a lungo e ciò gli è stato, però, impedito dall’illecito; nell’altro caso (danno patrimoniale futuro per spese di assistenza), si configura un “danno emergente” (così esplicitamente la citata Cass. n. 17815/2019), ossia un esborso che sarà necessario sostenere, ma soltanto finché si è in vita, per cui il sopraggiungere della morte, anche se per effetto dell’illecito, farà comunque cessare quella perdita patrimoniale, con la conseguenza che non sarà più apprezzabile l’esistenza di un danno risarcibile.

Va, dunque, ribadito (e precisato) il seguente principio di diritto: il danno patrimoniale permanente futuro consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante è un danno emergente e, quindi, la relativa liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve avere come parametro temporale di riferimento la durata presumibile dell’esborso e, quindi, il numero di anni per i quali lo stesso verrà sopportato”.

Lesione vascolare nel corso di protesizzazione di anca

Maria, una donna di 70 anni, si era rivolta ai professionisti di Iuremed per ottenere giustizia e chiarezza a seguito di gravi complicanze emerse dopo un intervento chirurgico di artroprotesi totale all’anca destra. La vicenda ha sollevato questioni delicate di malasanità, connesse all’esecuzione dell’operazione e alla gestione post-operatoria.

Il caso clinico di Maria

Maria soffriva di coxartrosi bilaterale, una patologia degenerativa dell’anca, che aveva compromesso gravemente la sua mobilità e qualità della vita. In considerazione del quadro clinico, si era optato per un intervento chirurgico di protesizzazione, descritto come di routine per medici esperti. Tuttavia, nelle ore successive all’operazione, Maria ha iniziato a manifestare sintomi preoccupanti, quali ischemia e freddo all’arto inferiore destro. Trasferita d’urgenza in un’altra struttura ospedaliera, le fu diagnosticata una trombosi massiva delle arterie dell’arto inferiore, riconducibile a una “contusione arteriosa” rilevata durante un intervento vascolare correttivo.

Complicanze della patologia e gestione post-operatoria

Le complicanze legate all’intervento di protesizzazione dell’anca possono includere:

  1. Trombosi arteriosa: la formazione di trombi nei vasi sanguigni, spesso causata da lesioni dirette o indirette della parete vascolare durante l’intervento.
  2. Ischemia acuta: riduzione o interruzione del flusso sanguigno che, se non trattata tempestivamente, può portare a necrosi dei tessuti o necessità di amputazione.
  3. Sindrome compartimentale: un’eccessiva pressione nei compartimenti muscolari che richiede fasciotomie per prevenire danni permanenti.

Maria ha subito queste complicanze, che hanno comportato ulteriori interventi chirurgici, tra cui un bypass vascolare con innesto sintetico e una fasciotomia decompressiva.

Errori medici riconosciuti dai consulenti

La perizia tecnica eseguita per il tribunale ha messo in luce alcune criticità:

  1. Condotta chirurgica non adeguata: È stato rilevato un trauma contusivo ai vasi iliaco-femorali, probabilmente causato da una manovra operatoria incongrua. Questo trauma ha scatenato la trombosi, evidenziata successivamente durante la diagnostica.
  2. Errore evitabile: Secondo i consulenti, tale complicanza sarebbe stata prevenibile se fossero state adottate le necessarie precauzioni durante l’intervento.
  3. Mancata diligenza media: Si è riscontrata una violazione delle norme di buona pratica chirurgica, il che evidenzia una responsabilità diretta dell’equipe operatoria.
  4. Assenza di documentazione probante: Non sono emersi elementi che confermassero altre cause, quali l’ipotensione perioperatoria non corretta, ipotizzata senza prove specifiche.

Il ruolo di Iuremed

Grazie al supporto di Iuremed, Maria ha potuto affrontare un percorso per far valere i propri diritti, ottenendo una perizia tecnica che ha dimostrato il nesso di causalità tra le lesioni subite e la condotta chirurgica inadeguata. Il caso evidenzia quanto sia importante il ruolo di esperti legali e medici per tutelare i pazienti e promuovere la sicurezza nei trattamenti sanitari.

La storia di Maria ci ricorda che la giustizia non solo aiuta a riparare il danno subito, ma contribuisce anche a migliorare il sistema sanitario, prevenendo che errori simili si ripetano.

I 5 Casi di Vizio del Consenso nella Ordinanza della Cassazione n. 30858/2024 del 2/12/2024

L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 30858/2024 si inserisce in una vicenda che ha inizio nel 2011, quando il signor Za.Gi. convenne in giudizio l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena. L’oggetto del contendere era la responsabilità dei sanitari del Centro Trapianti per un trapianto di fegato avvenuto nel 2005. Il paziente lamentava che l’organo impiantato fosse non idoneo poiché proveniente da un donatore deceduto per intossicazione da monossido di carbonio. Tale intervento, seguito da complicanze e un ulteriore trapianto nello stesso giorno, avrebbe causato danni biologici e morali, oltre a violare il suo diritto all’autodeterminazione per un’informazione insufficiente sul trapianto.

Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Modena riconobbe il danno per violazione del consenso informato. Tuttavia, in appello, la decisione venne ribaltata, rigettando le domande del ricorrente. La vicenda approdò così in Cassazione, che con questa pronuncia ha delineato in dettaglio i presupposti per la risarcibilità nei casi di consenso informato, fornendo un quadro teorico articolato in cinque ipotesi di vizio del consenso.

La Corte ha esaminato il tema della responsabilità medica per la violazione del consenso informato e identificato cinque scenari distinti:

1. **Consenso presunto e danno iatrogeno da condotta colposa del medico** 

   – Se il paziente avrebbe comunque accettato l’intervento (consenso presunto), ma il trattamento ha peggiorato le sue condizioni di salute a causa di una condotta colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute.

2. **Dissenso presunto e danno iatrogeno da condotta colposa del medico** 

   – Quando il paziente avrebbe rifiutato l’intervento se correttamente informato (dissenso presunto), e il peggioramento della salute è causato da una condotta colposa, sono risarcibili sia il danno alla salute che il danno per lesione del diritto all’autodeterminazione.

3. **Dissenso presunto e danno iatrogeno senza condotta colposa del medico** 

   – In caso di dissenso presunto, con danno iatrogeno ma assenza di colpa medica, si risarcisce la sola violazione del diritto all’autodeterminazione, valutata equitativamente. Il danno alla salute viene considerato solo se il paziente dimostra che non avrebbe comunque accettato l’intervento.

4. **Consenso presunto senza danno iatrogeno** 

   – Se il paziente avrebbe acconsentito all’intervento e questo non ha causato alcun danno, non è dovuto alcun risarcimento.

5. **Consenso presunto, danno iatrogeno senza condotta colposa** 

   – Quando il paziente avrebbe accettato l’intervento e il danno deriva da complicanze inevitabili (senza colpa medica), il risarcimento è possibile solo se il paziente dimostra conseguenze dannose non patrimoniali, diverse dal danno alla salute, come la sofferenza psichica o la restrizione della libertà personale.

Questa ordinanza rappresenta un contributo importante nella definizione dei confini tra responsabilità medica e diritto del paziente all’autodeterminazione. Essa chiarisce che il risarcimento per il vizio del consenso informato non può essere automatico, ma deve basarsi su una valutazione rigorosa delle circostanze specifiche, incluso il comportamento del medico, la presenza di un danno alla salute e l’effettiva lesione del diritto all’autodeterminazione.

Spondilodiscite a seguito di intervento di nucleoplastica

M., 63 anni, si è rivolto agli esperti di Iuremed per ottenere giustizia in seguito a un grave episodio di presunta responsabilità medica. Il signor M., affetto da dolori alla colonna lombare dovuti a una discopatia degenerativa, si era sottoposto a un intervento chirurgico mininvasivo, noto come nucleoplastica, presso la Casa di Cura S.. Questo intervento avrebbe dovuto alleviare i suoi sintomi, migliorando la qualità della vita. Tuttavia, ciò che sembrava essere una soluzione si è presto trasformato in un incubo.

Cosa è accaduto?

La nucleoplastica, una procedura innovativa e poco invasiva, consiste nel ridurre la pressione sui nervi spinali eliminando parte del disco intervertebrale attraverso una sonda a radiofrequenza. Inizialmente, tutto sembrava andare per il meglio: l’intervento si era svolto senza complicazioni apparenti, e il decorso post-operatorio sembrava regolare. Ma, a distanza di alcune settimane, il signor M. ha iniziato a lamentare sintomi insoliti, come debolezza agli arti inferiori, difficoltà a mantenere la posizione eretta e un crescente dolore lombare.

Questi sintomi hanno portato a ulteriori accertamenti diagnostici, che hanno rivelato una grave infezione: una spondilodiscite, ovvero un processo infettivo-infiammatorio che coinvolge i dischi intervertebrali e i corpi vertebrali adiacenti. La spondilodiscite è una condizione debilitante che provoca dolore intenso, rigidità, febbre e, nei casi più gravi, può danneggiare permanentemente la colonna vertebrale, compromettendo la mobilità del paziente. Nel caso del signor M., l’infezione è stata attribuita a un ceppo di Staphylococcus hominis, un batterio resistente agli antibiotici e spesso associato a infezioni ospedaliere.

Un’infezione evitabile?

L’origine dell’infezione è stata individuata nel primo intervento chirurgico. Nonostante la struttura sanitaria avesse seguito le procedure standard di sterilizzazione e somministrato la profilassi antibiotica, l’infezione si è verificata, sollevando interrogativi sulla prevenzione adottata. Gli esperti incaricati dal Tribunale hanno stabilito che, con criteri civilistici, l’infezione era non solo prevedibile, ma anche prevenibile. Hanno sottolineato che, sebbene le infezioni siano una complicanza nota negli interventi chirurgici, la responsabilità ricade sulla struttura sanitaria nel momento in cui queste non vengono gestite con la massima scrupolosità.

Le conseguenze per il paziente

A causa dell’infezione, M. ha dovuto affrontare un secondo intervento molto più complesso: una decompressione della colonna e un’artrodesi lombare, che ha comportato l’inserimento di barre metalliche e viti nella colonna vertebrale per stabilizzarla. Questo secondo intervento ha avuto un impatto significativo sulla sua vita. M. non solo ha dovuto affrontare un lungo periodo di riabilitazione, ma si è trovato con una mobilità limitata e ha perso gran parte della sua autonomia. Non può più camminare per lunghi tratti senza aiuto e ha difficoltà a mantenere la posizione eretta per più di qualche minuto. Queste limitazioni lo hanno costretto ad abbandonare il lavoro e a modificare profondamente il suo stile di vita.

Le conclusioni degli esperti

La consulenza tecnica richiesta dal Tribunale ha stabilito con chiarezza il nesso causale tra l’intervento di nucleoplastica e l’insorgenza della spondilodiscite. I consulenti hanno evidenziato come l’infezione fosse compatibile con una contaminazione durante il primo intervento, legata alla flora batterica cutanea. Inoltre, non sono state fornite prove sufficienti per dimostrare che la struttura avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’infezione.

Dal punto di vista medico-legale, il danno subito dal signor M. è stato quantificato in una menomazione permanente del 16%, un dato nettamente superiore rispetto al 4% che sarebbe stato stimato in caso di esito positivo del primo intervento. Questo incremento del danno, unito alle sofferenze fisiche e psicologiche e alle limitazioni lavorative, ha reso evidente la necessità di un risarcimento.

Una vicenda emblematica

Il caso di M. mette in luce le sfide e le responsabilità del sistema sanitario quando si tratta di prevenire complicanze prevedibili, come le infezioni nosocomiali. Sebbene alcune di queste siano difficilmente eliminabili, un approccio rigoroso e conforme alle migliori pratiche può fare la differenza tra un esito positivo e una vita segnata da disabilità permanenti. Per il signor M., il percorso verso la giustizia è diventato un passo necessario per ottenere non solo un risarcimento, ma anche il riconoscimento del torto subito.

L’uso del Litigation Funding nel contenzioso per responsabilità medica

La PL S.r.l., proprietaria del marchio IUREMED, è una società di litigation funding

Il “litigation funding” (finanziamento del contenzioso) è una pratica relativamente recente che sta prendendo piede anche in Italia, e consiste nell’offrire supporto finanziario a chi intende intraprendere una causa legale, ma non ha le risorse economiche per farlo. Questo strumento si sta rivelando particolarmente utile in ambiti complessi come la responsabilità medica, dove le cause legali possono essere estremamente costose, lunghe e difficili da gestire.

Cos’è il Litigation Funding?

Il litigation funding prevede che una terza parte, un finanziatore esterno, fornisca i fondi necessari per sostenere le spese legali di una causa in cambio di una parte del risarcimento che il danneggiato otterrà, qualora la causa sia vinta. Questo finanziamento può coprire le spese per avvocati, periti, e altre spese legali connesse alla causa.

Nel contesto della responsabilità medica, che riguarda i casi in cui un paziente subisce danni a causa di errori o negligenze da parte di professionisti sanitari, il litigation funding può essere un’opportunità importante per le vittime che altrimenti non avrebbero accesso alla giustizia a causa dei costi elevati del contenzioso.

Le cause di responsabilità medica sono infatti caratterizzate da una notevole complessità, non solo dal punto di vista legale ma anche da quello tecnico, poiché è necessario fare affidamento su esperti medici per stabilire se si sia verificato un errore professionale e quale ne sia stata l’entità. I costi associati alla consulenza tecnica, alle spese legali e all’eventuale risarcimento in caso di vittoria della causa possono facilmente raggiungere cifre considerevoli.

Come Funziona il Litigation Funding nella Responsabilità Medica?

Nel caso di una causa per responsabilità medica, il paziente danneggiato (o il suo avvocato) può cercare un finanziatore che copra le spese legali. Il finanziatore, a sua volta, valuta la forza della causa, la possibilità di successo in tribunale e il risarcimento potenziale. Se la causa è ritenuta meritevole e ha buone probabilità di successo, il finanziatore si impegna a coprire le spese in cambio di una percentuale del risarcimento ottenuto.

Se la causa viene vinta, il paziente riceverà il risarcimento e il finanziatore riceverà una parte del compenso, solitamente una percentuale che può variare a seconda dell’accordo stabilito. In caso di perdita della causa, invece, il finanziatore si fa carico delle spese legali, e il paziente non dovrà rimborsare alcuna somma.

I Benefici del Litigation Funding per la Responsabilità Medica:

1. Accesso alla Giustizia

Uno dei principali vantaggi del litigation funding è che offre la possibilità di accedere alla giustizia anche a chi non dispone delle risorse economiche necessarie. Questo è particolarmente importante nel contesto della responsabilità medica, dove le cause possono richiedere ingenti somme di denaro.

2. Riduzione del Rischio Finanziario

Il finanziamento del contenzioso riduce il rischio economico per il danneggiato, poiché in caso di esito negativo della causa non dovrà sostenere le spese legali. Questo rappresenta una vera e propria garanzia di protezione per chi decide di intraprendere una causa.

3. Più Tempo e Risorse per Concentrarsi sul Caso

Il finanziatore si occupa di tutte le questioni finanziarie, permettendo al paziente e al suo avvocato di concentrarsi esclusivamente sull’aspetto legale del caso, senza doversi preoccupare delle difficoltà economiche.

4. Incentivazione per Avvocati e Periti

Il finanziamento esterno può anche incentivare avvocati e periti ad affrontare casi che altrimenti potrebbero risultare troppo rischiosi o dispendiosi. La presenza di un finanziatore può rendere più probabile l’accettazione di un caso complesso.

Infarto miocardico acuto non diagnosticato in Pronto Soccorso

I FATTI E LE CONSEGUENZE

In data (…) alle ore (…) il signor Pasquale (nome di fantasia) (di anni 68 all’epoca dei fatti) accedeva al P.S. dell’Ospedale di “Omissis”, riferendo dolore toracico, nausea e sudorazione.

I sanitari in quella occasione praticavano esami ematochimici, enzimi cardiaci ed ECG, dimettendo il paziente a poche ore di distanza dal ricovero.

Nel corso della medesima giornata, il signor Pasquale decedeva presso il proprio domicilio.

Gli eredi del Sig. Pasquale si sono rivolti a IUREMED per accertare le eventuali responsabilità mediche della struttura nella quale era avvenuto il ricovero, in particolare la perdita delle possibilità di sopravvivenza per la mancanza di diagnosi e per negligenza nella cura, ed ottenere un risarcimento per la scomparsa del loro congiunto.

LA PATOLOGIA – Correlazione tra dolore toracico e infarto miocardico acuto

In caso di infarto, meno del 50% dei pazienti attivano i soccorsi entro la prima ora dall’insorgenza dei sintomi, mentre quasi il 30% arrivano oltre la seconda ora.

Se c’è un infarto in atto, uno dei vasi che porta il sangue al cuore si occlude. Ogni minuto trascorso è potenzialmente una parte del muscolo cardiaco che muore: importanti studi hanno dimostrato come la mortalità a un anno dall’infarto aumenti   del   7,5%   ogni   30   minuti   di   ritardo nell’accesso alle cure.

Il dolore toracico può avere molte cause. È molto importante, quindi, sapere quando allarmarsi ed allertare i soccorsi. Tipicamente, nell’infarto miocardico il dolore si manifesta con un senso di pesantezza, oppressione o costrizione al torace, che può estendersi anche alla schiena, alle braccia (più frequentemente a sinistra), al collo o alla mandibola. Spesso si associa ad affaticamento, nausea, sudorazione, mancanza di fiato o sensazione di indigestione.

Se il paziente avverte un dolore al torace intenso, ampio, oppressivo, che dura più di qualche minuto e si associa a sudorazione, bisogna chiamare il 112 per essere velocemente trasportato all’ospedale più vicino.

Il personale del 112, oltre a verificare in un primo momento come sta il paziente e se ha necessità immediata di terapie, eseguirà un elettrocardiogramma che verrà teletrasmesso alla terapia intensiva cardiologica. Se viene posta diagnosi di infarto miocardico acuto, il soggetto verrà trasportato direttamente in un ospedale dotato della Sala di Emodinamica, in cui ripristineranno il flusso sanguigno al cuore con l’angioplastica.

LE RESPONSABILITÀ E IL RISARCIMENTO

In sede di CTU veniva riconosciuta la mancanza di cautela necessaria nella gestione clinica del Sig. Pasquale. Infatti, nessuna diagnosi differenziale veniva posta in quanto non si era proceduto all’osservazione breve come codificato dai protocolli vigenti e dalla leges artis. Sarebbe stato necessario, infatti, poter escludere le principali cause di dolore toracico a rischio di vita (IMA, dissezione aortica, embolia polmonare) che necessariamente avrebbero richiesto ospedalizzazione del soggetto ed osservazione breve oltre alle indagini peculiari del caso (rx, ecocardiografia, ricontrollo dei markers cardiaci ecc.). Tutto ciò veniva invece omesso e il paziente veniva imprudentemente dimesso.

Dall’analisi dei dati, pur in assenza di dato necroscopico il decesso con criterio di elevata probabilità veniva ricondotto ad una Sindrome Coronarica Acuta (SCA). Tanto premesso, veniva ritenuto censurabile il comportamento dei sanitari del PS dell’Ospedale di Omissis per non aver provveduto a quanto il caso richiedeva, in relazione alla sintomatologia riferita.

In mediazione le parti raggiungevano un accordo conciliativo, con il riconoscimento ai congiunti del Sig. Pasquale di una somma omnicomprensiva in denaro a soddisfazione definitiva di tutti i danni e pregiudizi riscontrati, iure proprio e iure hereditatis.

Aperto il Canale WhatsApp della Iuremed Academy: Un Nuovo Strumento per Tenersi Aggiornati sulla Responsabilità Medica

La Iuremed Academy, punto di riferimento nell’ambito della formazione legale e medico-legale, ha recentemente lanciato un nuovo canale ufficiale su WhatsApp dedicato a tutti i professionisti del settore sanitario e legale. L’iniziativa nasce per rispondere alla crescente necessità di aggiornamenti tempestivi e facilmente fruibili sulla complessa e in continua evoluzione materia della responsabilità medica.

Perché il Canale WhatsApp?

La responsabilità medica è uno dei temi più delicati e discussi in ambito giuridico e sanitario, coinvolgendo medici, avvocati, pazienti e istituzioni. La legislazione in materia è in costante aggiornamento, con normative che cambiano e con sentenze giuridiche che forniscono nuovi spunti interpretativi. Mantenersi aggiornati su queste tematiche è fondamentale, ma spesso i canali tradizionali di comunicazione, come i corsi di formazione o le newsletter, risultano troppo lenti o poco interattivi.

Con l’introduzione del canale WhatsApp, la Iuremed Academy intende offrire un servizio più immediato, diretto e accessibile. WhatsApp, infatti, è una delle piattaforme più utilizzate a livello globale, apprezzata per la sua facilità d’uso e la rapidità nella trasmissione di informazioni. L’Academy ha quindi scelto questo strumento per fornire aggiornamenti rapidi, news, approfondimenti giuridici e novità legislative relative alla responsabilità medica, garantendo un contatto diretto e continuo con i professionisti interessati.

Cosa Offre il Canale WhatsApp?

Il canale WhatsApp della Iuremed Academy offre ai suoi iscritti una serie di vantaggi:

1. Aggiornamenti Legali e Normativi: Gli iscritti riceveranno notifiche in tempo reale su modifiche normative, sentenze importanti, e nuove interpretazioni della responsabilità medica, con un focus particolare sulle implicazioni giuridiche e sulle best practices professionali.

2. Approfondimenti e Articoli Specializzati: Ogni settimana, il canale condividerà articoli, studi di caso e approfondimenti tematici, curati da esperti del settore, per offrire spunti di riflessione e formazione continua.

3. Accesso a Eventi e Seminari: Gli utenti del canale WhatsApp avranno priorità nell’iscrizione a seminari, webinar e corsi di formazione organizzati dalla Iuremed Academy, su temi specifici della responsabilità medica e del diritto sanitario.

4. Consultazioni Dirette: Il canale offrirà anche la possibilità di interagire direttamente con i professionisti della Iuremed Academy per chiedere chiarimenti su temi giuridici, partecipare a discussioni e ottenere risposte rapide a dubbi specifici.

Come Iscriversi?

L’iscrizione al canale WhatsApp della Iuremed Academy è semplice e gratuita. Per aderire, basta cliccare sul seguente link https://whatsapp.com/channel/0029VanSuu47z4kcimq82C2T o cercare Iuremed Responsabilità medica nella sezione canali di Whatsapp. Una volta registrati, gli iscritti inizieranno a ricevere gli aggiornamenti direttamente sul proprio smartphone.

Con questa iniziativa, la Iuremed Academy dimostra ancora una volta di essere al passo con i tempi, offrendo ai suoi membri uno strumento moderno ed efficace per la crescita professionale e l’aggiornamento continuo.

Culpa in vigilando di paziente affetto da Alzheimer

I FATTI E LE CONSEGUENZE

In data (omissis) il sig. Michele (nome di fantasia), soggetto affetto da morbo di Alzheimer, di anni 79 all’epoca dei fatti, fu ricoverato presso l’Ospedale di (omissis) per intervento chirurgico di impianto pacemaker. Durante la degenza fu riferito ai familiari di un tentativo di fuga dall’ospedale con disorientamento del paziente. Seguiva un secondo ricovero presso la stessa struttura ospedaliera per riferito malessere. Durante tale nuovo ricovero ci fu un nuovo tentativo di fuga del Sig. Michele, ritrovato a distanza di due ore. Michele veniva quindi trasferito presso il reparto di Cardiologia dello stesso nosocomio e sottoposto ad intervento chirurgico di angioplastica con inserimento di uno stent. Seguiva nuovo ricovero presso lo stesso Ospedale per peggioramento del quadro clinico. Il giorno successivo, Michele scappava nuovamente dall’Ospedale e veniva ritrovato svestito e privo di vita davanti ad un supermercato.

Gli eredi di Michele si sono rivolti a IUREMED per accertare le responsabilità mediche della struttura ospedaliera, in particolare per la mancata predisposizione di un protocollo per la gestione dei pazienti soggetti a pericolo di fuga, come i malati di Alzheimer, ed ottenere un risarcimento per la scomparsa del loro congiunto.

LA PATOLOGIA

Il morbo di Alzheimer è un tipo di demenza che provoca problemi con la memoria, il pensare e il comportamento. Generalmente, i sintomi si sviluppano lentamente e peggiorano con il passare del tempo, diventando talmente gravi da interferire con le attività quotidiane.

L’avanzare del morbo di Alzheimer attraverso il cervello provoca sintomi sempre più gravi, tra cui il disorientamento, i cambiamenti di umore e di comportamento; una sempre più marcata confusione su eventi, tempi e luoghi; sospetti infondati relativi a famiglia, amici e persone che assistono; una più grave perdita di memoria e mutamenti di comportamento, nonché difficoltà nel parlare, deglutire e camminare.

Il malato di Alzheimer va gradualmente perdendo il senso dell’orientamento nel tempo e nello spazio. Se a questa situazione si aggiunge un evento ambientale, che il malato vive con disagio o in modo per lui minaccioso, si produce la fuga.

La fuga è quindi un gesto volontario, con un obiettivo confuso, che si sviluppa quando egli sente la necessità o di allontanarsi da un ambiente che ritiene ostile, o di andare alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che possono risiedere anche nel suo passato. Molti di questi malati, che si sono allontanati, sono stati ritrovati sulla strada della loro casa di una volta, o in luoghi legati alle esperienze di vita trascorsa.

Deve essere quindi compito dalla struttura ospedaliera nella quale è ricoverato il malato predisporre alcuni provvedimenti preventivi in grado di impedirne la fuga, senza però provocare costrizioni che il malato possa vivere in modo opprimente e minaccioso.

LE RESPONSABILITÀ E IL RISARCIMENTO

In sede di valutazione medico legale veniva riconosciuto che il decesso di Michele era da correlare, in misura concausale, all’esposizione al freddo notturno patito. Il paziente, infatti, dopo l’allontanamento dall’0spedale veniva trovato morto seminudo vicino ad un supermercato distante dal nosocomio.

Il signor Michele era soggetto fragile affetto da cardiopatia, broncopatia e demenza di Alzheimer e già durante precedenti ricoveri vi erano stati due tentativi di fuga, fortunatamente risolti in tempi brevi e senza conseguenze nefaste.

In ragione di ciò, la responsabilità del personale sanitario dello stesso ospedale di Omissis, per quanto attiene la “culpa in vigilando”, è stata considerata grave dato che si trattava di un soggetto con demenza di Alzheimer che aveva più volte tentato la fuga dall’Ospedale in precedenti ricoveri. Si sottolinea, inoltre, che la fuga era avvenuta nelle prime ore mattutine del giorno e tale circostanza sarebbe stata in grado di consentire un’attenta e scrupolosa vigilanza del personale sanitario, alla luce anche di alcune misure e presidi di prevenzione che possono essere facilmente instaurati nelle ore notturne (ad esempio chiusura a chiave delle porte di accesso al reparto, spondine alte laterali al letto e via discorrendo).

L’evento terminale è quindi stato posto in relazione concausale agli esiti dei non conformi trattamenti sanitari praticati.

In mediazione le parti raggiungevano un accordo conciliativo, con il riconoscimento agli eredi del Sig. Michele di una somma di denaro a soddisfazione definitiva di tutti i danni e pregiudizi riscontrati, iure proprio e iure hereditatis.