Lesione del nervo ulnare dopo protesi di spalla

Veronica (nome di fantasia) si è rivolta a Iuremed dopo un intervento di protesi inversa di spalla destra, eseguito per trattare una grave artrosi gleno-omerale che le causava dolore e limitazione nei movimenti. L’operazione, eseguita in una struttura privata romana, avrebbe dovuto restituirle libertà articolare e qualità di vita. Invece, il decorso post-operatorio è stato segnato da gravi complicanze neurologiche e funzionali che hanno reso la sua condizione peggiore rispetto a quella di partenza.

La patologia e l’intervento subito

L’artrosi gleno-omerale rappresenta una forma degenerativa che danneggia l’articolazione della spalla, riducendo progressivamente la capacità di movimento. L’impianto di una protesi inversa di spalla è oggi una tecnica consolidata, indicata nei casi in cui la degenerazione articolare si accompagna a lesioni dei tendini della cuffia dei rotatori.

L’intervento di Veronica, tecnicamente riuscito, avrebbe dovuto garantire la scomparsa del dolore e un progressivo recupero della funzionalità. Tuttavia, poche ore dopo l’operazione, la paziente ha avvertito un dolore acutissimo irradiato lungo tutto il braccio, seguito da una perdita di sensibilità e di forza nella mano destra.

Nei giorni successivi la situazione è peggiorata: il quarto e quinto dito sono rimasti immobili e insensibili, compromettendo completamente la capacità prensile.

Le complicanze e il percorso successivo

Gli accertamenti diagnostici hanno rivelato una lesione del nervo ulnare a livello del gomito — il nervo che consente la motilità fine della mano e la sensibilità del lato interno dell’avambraccio.

La paziente si è sottoposta, presso il Policlinico Gemelli, a un intervento di decompressione del nervo ulnare. Purtroppo, il danno nervoso si era già stabilizzato: il recupero funzionale è stato minimo e Veronica è rimasta affetta da una paresi parziale permanente della mano destra.

Le responsabilità individuate dal CTU

La Consulenza Tecnica d’Ufficio ha accertato che la lesione del nervo ulnare non può essere considerata una semplice complicanza inevitabile.
Dall’analisi della documentazione e della dinamica clinica, i periti hanno rilevato che:

  • l’intervento è stato eseguito con modalità non del tutto conformi alle regole di prudenza chirurgica;
  • la sofferenza acuta del nervo, insorta subito dopo l’intervento, è compatibile con un evento iatrogeno da compressione o stiramento, probabilmente legato a una mancata protezione delle strutture vascolo-nervose o a un ematoma post-operatorio non gestito tempestivamente;
  • non è stato acquisito un consenso informato completo, poiché nella documentazione mancava la firma della paziente e non risultavano adeguatamente descritti i rischi specifici dell’intervento.

I consulenti hanno quindi ritenuto che la condotta dei sanitari fu imprudente e imperita, in un intervento che non presentava particolari difficoltà tecniche e che, se correttamente eseguito, non avrebbe dovuto generare danni permanenti.

Il danno residuato

Oggi Veronica presenta:

  • deficit motorio e sensitivo dell’arto destro, con impossibilità a utilizzare pienamente la mano e limitata forza nella presa;
  • marcata riduzione della mobilità della spalla, che non ha recuperato la funzionalità attesa dopo l’intervento;
  • difficoltà nelle attività quotidiane e ripercussioni psicologiche dovute alla perdita di autonomia.

Il danno biologico permanente complessivo è stato stimato nel 34%, di cui una quota del 10% come danno iatrogeno aggiuntivo direttamente correlato all’errore chirurgico.


La tutela con Iuremed

Grazie all’intervento dei professionisti di Iuremed, Veronica ha potuto far valere le proprie ragioni e ottenere un giusto risarcimento per il danno subito.

Se anche tu o un tuo familiare avete vissuto un’esperienza simile, contatta il numero verde 800 931 194 per una valutazione gratuita del tuo caso e per conoscere i tuoi diritti in materia di responsabilità medica.

Perdita dell’occhio per mancata diagnosi di recidiva di carcinoma della congiuntiva

Veronica (nome di fantasia) si è rivolta a Iuremed dopo aver vissuto un drammatico percorso sanitario culminato nella perdita del proprio occhio sinistro, conseguenza di una diagnosi tardiva che avrebbe potuto – con maggiore attenzione – evitare un esito tanto devastante.

La patologia e gli interventi subiti

Nel giugno 2018, Veronica si era sottoposta a un intervento di asportazione di una neoformazione congiuntivale presso un ospedale napoletano. Il referto istologico, consegnato pochi giorni dopo l’intervento, rivelò la natura maligna della lesione: carcinoma squamoso infiltrante.

Nei mesi successivi, la paziente si sottopose spontaneamente a una serie di esami radiologici (risonanza magnetica e TAC) presso centri diagnostici privati, che tuttavia non rilevarono alcun residuo patologico. Purtroppo, pochi mesi dopo, la malattia si ripresentò in forma più aggressiva: nel febbraio 2019 fu necessario un nuovo intervento, questa volta molto più demolitivo, consistente nell’exenteratio orbitae, ossia la completa asportazione del contenuto orbitario.

Le complicanze più frequenti e il quadro clinico

Il carcinoma squamoso della congiuntiva è un tumore raro, generalmente a lenta progressione e con scarso potere metastatico, ma con un’alta percentuale di recidive locali se non viene completamente asportato. Quando la recidiva interessa le strutture profonde dell’orbita, l’unica possibilità terapeutica resta purtroppo la rimozione totale del globo oculare.

In casi come quello di Veronica, un’adeguata sorveglianza post-operatoria e un’attenta valutazione radiologica possono fare la differenza tra la conservazione e la perdita della vista.

Le responsabilità individuate dal CTU

La Consulenza Tecnica d’Ufficio ha ricostruito l’intera vicenda clinica, rilevando profili di colpa professionale sia nella gestione ospedaliera sia nella refertazione diagnostica successiva.

In particolare, i consulenti hanno sottolineato che:
– dopo il primo intervento non furono eseguiti accertamenti radiologici di approfondimento nonostante la diagnosi istologica di carcinoma;
– i successivi esami RM e TAC, eseguiti presso due diversi centri, mostravano già segni evidenti di residuo neoplastico, che però non vennero riconosciuti;
– tali omissioni diagnostiche hanno ritardato la scoperta della recidiva, rendendo inevitabile un intervento distruttivo che, con una diagnosi tempestiva, avrebbe potuto essere evitato.

Secondo i CTU, la condotta dei sanitari e dei centri diagnostici non fu conforme alle buone pratiche cliniche, e le mancanze nell’anamnesi e nella lettura delle immagini rappresentano violazioni della diligenza professionale.

Il danno residuato

A seguito dell’intervento, Veronica è oggi affetta da anoftalmia sinistra, ossia la completa perdita dell’occhio, con conseguente disabilità visiva, difficoltà di percezione spaziale e un grave danno estetico.

Il danno biologico permanente è stato stimato nel 21%, anche in considerazione dell’assenza di una protesi oculare efficace e dell’impatto psicologico connesso alla mutilazione.

La tutela con Iuremed

Grazie all’assistenza dei professionisti di Iuremed, Veronica ha potuto accertare le responsabilità sanitarie e ottenere il giusto risarcimento per la perdita subita.

Se anche tu o un tuo familiare avete vissuto un’esperienza simile, contatta il numero verde 800 931 194 per ricevere una valutazione gratuita del tuo caso e conoscere i tuoi diritti.

NHS Resolution: esempio vincente di mediazione nel sistema sanitario inglese

L’NHS Resolution è l’organismo del Servizio Sanitario Nazionale inglese (NHS) deputato alla gestione delle controversie derivanti da episodi di presunta negligenza clinica o da altre forme di responsabilità connesse all’attività sanitaria. Nato nel 1995 come “National Health Service Litigation Authority”, oggi opera come arm’s length body del Department of Health and Social Care con un mandato chiaro: garantire un sistema di indennizzo equo, sostenibile e fondato su modalità di risoluzione delle controversie meno conflittuali e più orientate al dialogo e all’apprendimento.

Un modello che punta al “fair resolution”

NHS Resolution fonda la propria strategia su quattro priorità, la prima delle quali è la “fair and timely resolution”, ovvero la ricerca di soluzioni giuste e tempestive, riducendo al minimo il ricorso ai tribunali. L’obiettivo è duplice: da un lato, alleggerire il carico dei costi e dello stress legale per pazienti e personale sanitario; dall’altro, creare un contesto in cui gli errori clinici diventino occasioni di apprendimento piuttosto che di mera colpevolizzazione.

Nel 2024/2025, secondo i dati riportati nel NHS Resolution Annual Report and Accounts, l’83% dei reclami clinici è stato risolto senza ricorso al contenzioso giudiziario – la percentuale più alta mai registrata dall’ente. Questo risultato riflette l’efficacia dei programmi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR), fra cui spicca la mediazione.

La mediazione come strumento di umanizzazione del conflitto

La mediazione è uno degli strumenti più emblematici della filosofia operativa dell’NHS Resolution. Essa consente alle parti – pazienti, familiari e operatori sanitari – di incontrarsi in un contesto neutrale, guidati da un mediatore indipendente e accreditato. L’obiettivo non è solo raggiungere un accordo economico, ma anche dare voce alle preoccupazioni, ai vissuti emotivi e ai bisogni di chiarimento che spesso restano inespressi nei procedimenti giudiziari.

Nel solo anno 2024/25, 138 reclami sono stati affrontati attraverso la mediazione, e il 73% di essi è stato risolto il giorno stesso o entro 28 giorni dall’incontro. Un risultato significativo, che testimonia l’efficacia di questo approccio nel ricomporre situazioni conflittuali complesse in tempi brevi e con un elevato grado di soddisfazione delle parti.

La mediazione, inoltre, non giova soltanto ai pazienti: essa offre benefici anche ai clinici coinvolti, consentendo loro di chiudere vicende dolorose, affrontare le conseguenze di un errore e contribuire al miglioramento della sicurezza del sistema sanitario. L’ente ha recentemente rinnovato, attraverso una gara pubblica di affidamento del servizio di mediazione, il proprio impegno a mantenere elevati standard di qualità e indipendenza nei processi di ADR.

Oltre la mediazione: gli altri strumenti di risoluzione alternativa

Accanto alla mediazione, NHS Resolution promuove anche altri strumenti collaborativi:

– Resolution meetings, incontri strutturati in cui le parti discutono apertamente i punti di forza e di debolezza del reclamo, spesso supportate da una revisione paritaria. Nel 2024/25, 162 reclami di valore inferiore a £150.000 sono stati trattati in questo modo, con una percentuale di risoluzione del 60%.
– Stock take meetings, riunioni di verifica e confronto con gli studi legali dei pazienti per valutare lo stato delle pratiche e favorire decisioni condivise sul percorso di chiusura.
– Early neutral evaluation, procedura sperimentale che prevede l’intervento di un valutatore indipendente per fornire un parere tecnico imparziale sul merito della controversia. Il progetto pilota, avviato nel 2023 in collaborazione con due studi legali dei ricorrenti, si è concluso nel 2024 con risultati promettenti.

Una cultura della responsabilità costruttiva

Ciò che emerge chiaramente dal report 2024/25 è che l’NHS Resolution non si limita a gestire i sinistri: promuove un cambiamento culturale. L’idea è quella di un sistema sanitario che, pur riconoscendo gli errori, si impegna a risolverli in modo costruttivo, evitando lacerazioni e favorendo il miglioramento continuo della qualità delle cure.

In questo senso, la mediazione rappresenta un ponte tra diritto e umanità: consente di risarcire i danni quando dovuto, ma anche di restituire alle persone coinvolte un senso di ascolto, comprensione e fiducia nel sistema.

In sintesi, l’attività di NHS Resolution dimostra che un approccio empatico e collaborativo alla gestione dei reclami sanitari non solo è possibile, ma può diventare un pilastro di efficienza e di giustizia. La mediazione, nel contesto britannico, non è dunque un’alternativa minore al giudizio: è la via maestra per rendere il sistema più equo, sostenibile e umano.

T.U.N. e responsabilità sanitaria: riflessioni per un utilizzo consapevole

Il prossimo venerdì 10 ottobre 2025, dalle ore 15.00 alle ore 18.00, si terrà un nuovo appuntamento formativo gratuito promosso da Avvidasa, in modalità Zoom Meeting (ID: 817 1913 3580 – Codice d’accesso: 724498). LINK : https://us02web.zoom.us/j/81719133580?pwd=nMDS5u3ERnA7KNykmsEHkmwRiyMm20.1

L’incontro, dal titolo “T.U.N. e responsabilità sanitaria: riflessioni per un utilizzo consapevole”, rappresenta un’occasione di confronto qualificato sui profili più attuali della responsabilità medica e del danno risarcibile, con un focus particolare sul ruolo del medico legale e sull’applicazione concreta degli strumenti normativi e giurisprudenziali.

Che cos’è la T.U.N.

La Tabella Unica Nazionale (T.U.N.) è lo strumento previsto dalla legge per uniformare, a livello nazionale, i criteri di liquidazione del danno biologico permanente e temporaneo. La sua introduzione mira a garantire una maggiore equità risarcitoria, superando le difformità territoriali legate all’uso delle tabelle locali, prima fra tutte la celebre tabella milanese.

Negli ultimi mesi, la T.U.N. è stata al centro di un acceso dibattito che coinvolge magistrati, avvocati e medici legali. Al centro della discussione si collocano:

• L’equilibrio tra equità e uniformità: la necessità di garantire risarcimenti uguali su tutto il territorio nazionale, senza però comprimere la personalizzazione del danno.

• Il rapporto con le tabelle locali: in particolare, il confronto con la tabella di Milano, che per anni ha costituito il punto di riferimento della giurisprudenza e della prassi liquidativa.

• Il danno morale e quello temporaneo: due voci di danno che la T.U.N. deve collocare in un quadro sistematico chiaro, evitando sovrapposizioni e duplicazioni.

• Il ruolo del medico legale: chiamato ad applicare la tabella con criteri di coerenza scientifica e giuridica, senza perdere la capacità di valutare la singolarità del caso concreto.

• I profili di retroattività: ovvero la possibilità (e i limiti) di applicare la nuova tabella a fattispecie insorte o giudicate sotto il regime precedente.

I relatori

• Dott. Enrico Pedoja – L’apporto del medico legale

• Avv. Francesco Meloni – La retroattività

• Avv. Marco Rodolfi – Il danno morale

• Avv. Donato Sandro Putignano – Il danno temporaneo

A moderare il confronto sarà l’Avv. Caterina Cristina Bressan, che guiderà la discussione favorendo un dialogo dinamico tra relatori e partecipanti.

Un’occasione di aggiornamento

L’evento si propone come momento di approfondimento per professionisti del settore medico-legale e giuridico, offrendo spunti pratici per un approccio consapevole e critico alla responsabilità sanitaria e alle categorie di danno risarcibile.

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale www.avvidasa.it.

Responsabilità contrattuale per il danno iure proprio subìto dai genitori del paziente minore: nota a Cass., ord. 16 settembre 2025, n. 25404

1. Il fatto storico

La vicenda trae origine dalla drammatica storia di St.Ch., nato con gravi problemi fisici che resero necessario, a soli nove mesi, l’impianto di un pacemaker. Dopo alcuni anni, il 18 agosto 2003, l’apparecchio cessò improvvisamente di funzionare, provocando anossia cerebrale e uno stato vegetativo permanente. Quello stesso giorno il pacemaker fu espiantato e distrutto.

In sede civile agirono i genitori, Ca.La. e Gi.Ch., sia in proprio che quali rappresentanti legali del figlio. Successivamente, a seguito del decesso sia del minore sia del padre, subentrarono nel giudizio gli altri figli, Al. e Sa.

Il Tribunale di Massa rigettò la domanda per mancanza di colpa medica. In appello, la Corte di Appello di Genova riconobbe la responsabilità sanitaria e il conseguente risarcimento iure hereditatis, ma negò ai genitori e ai congiunti il diritto al risarcimento iure proprio, ritenendo che il contratto fosse stato stipulato esclusivamente nell’interesse del figlio.

2. La decisione della Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 25404/2025, ha riformato la ricostruzione della Corte territoriale, affermando un principio di particolare rilevanza sistematica: i genitori, avendo stipulato il contratto con la struttura sanitaria, sono parti contrattuali a pieno titolo, e non meri rappresentanti del minore.

Scrive la Corte: «I genitori erano dunque formalmente parti del contratto, ossia hanno stipulato loro il contratto che aveva ad oggetto la cura del figlio. (…) Se è vero che i genitori stipulano nell’interesse del figlio, è altrettanto vero che stipulano altresì nel loro interesse, ed è altrettanto vero che l’inadempimento del medico lede sì la salute del destinatario della prestazione ma anche un interesse dello stipulante, ossia dei genitori, interesse che è protetto direttamente dal contratto, e non per riflesso».

Di conseguenza, il richiamo operato dai giudici di merito alla categoria del contratto con effetti protettivi verso terzi è stato giudicato del tutto “fuori luogo”, in quanto tale figura riguarda l’estensione degli effetti contrattuali a soggetti estranei, non a chi sia già parte formale del contratto.

3. Responsabilità contrattuale e contratto con effetti protettivi verso terzi

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra:

– Responsabilità contrattuale per I danni patiti dai genitori: essi, avendo sottoscritto il contratto di cura, possono far valere in proprio l’inadempimento della struttura. Il danno subito non è un mero riflesso del pregiudizio del figlio, ma deriva dalla lesione di un interesse diretto e personale, radicato nel contratto stesso.

– Contratto con effetti protettivi verso terzi: riguarda ipotesi differenti, nelle quali un soggetto non parte del contratto chiede tutela contrattuale. Tipico l’esempio del padre che, non avendo stipulato alcun contratto con il medico, rivendica una tutela per i danni conseguenti a un trattamento pregiudizievole sul nascituro (v. Cass. 17113/2024).

La Corte chiarisce che, nel caso in esame, i genitori non possono essere considerati “terzi”: diversamente dalla fattispecie del padre non contraente, essi hanno sottoscritto direttamente l’accordo con la struttura sanitaria.

4. Le implicazioni sistematiche

La pronuncia riveste particolare rilievo perché riconosce espressamente la legittimazione contrattuale dei genitori ad agire iure proprio. Ciò comporta conseguenze significative:

– sul piano probatorio, in quanto l’azione contrattuale implica l’applicazione del regime dell’art. 1218 c.c., con l’alleggerimento dell’onere probatorio a carico dell’attore;
– sul piano sostanziale, poiché viene valorizzato l’interesse autonomo dei genitori alla corretta esecuzione delle cure, non riducibile a una mera proiezione dell’interesse del figlio.

5. Conclusioni

L’ordinanza n. 25404/2025 segna un passaggio decisivo nell’evoluzione della responsabilità sanitaria: la Cassazione riconosce che il contratto stipulato dai genitori con la struttura sanitaria non tutela soltanto il minore, ma anche gli stessi genitori, quali portatori di un interesse proprio e diretto.

Omessa diagnosi di HPV ad alto rischio per mancata esecuzione di PAP Test

La signora Laura si è rivolta a Iuremed dopo un percorso clinico complesso che ha portato, purtroppo, alla diagnosi tardiva di un carcinoma della cervice uterina.

La vicenda clinica

Già nel 2010 la paziente si era sottoposta a controlli ginecologici che avevano rilevato la presenza di un piccolo mioma. Successivamente, nel 2017 e nel 2019, si era nuovamente rivolta allo stesso ginecologo, ricevendo esclusivamente referti ecografici privi di indicazioni anamnestiche e, soprattutto, senza alcuna proposta di Pap test, nonostante l’ultimo fosse stato eseguito ben sette anni prima.

Nel novembre 2019 un Pap test, finalmente eseguito presso altra struttura, rilevava alterazioni cellulari sospette (H-SIL). Solo nel 2020 arrivava la conferma della positività per HPV 16 ad alto rischio e la successiva diagnosi istologica di carcinoma cervicale, che costrinse la paziente a sottoporsi ad isterectomia radicale con linfoadenectomia bilaterale e successivi cicli di radioterapia e brachiterapia.

Il ruolo del Pap test e delle lesioni ad alto rischio

Il Pap test rappresenta uno strumento fondamentale di prevenzione secondaria, capace di individuare precocemente lesioni precancerose del collo dell’utero. In particolare, le alterazioni cellulari classificate come HSIL (lesioni squamose intraepiteliali di alto grado) sono strettamente correlate a infezioni da HPV ad alto rischio, come i genotipi 16 e 18, principali responsabili della progressione verso il carcinoma cervicale. La diagnosi tempestiva di tali lesioni consente di intervenire con trattamenti conservativi, evitando che la malattia evolva in forme invasive che richiedono interventi radicali e altamente demolitivi.

Le conclusioni del CTU

La consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che:
– nel 2017 il ginecologo avrebbe dovuto proporre un nuovo Pap test, dato il lungo intervallo dall’ultimo esame e la presenza di fattori di rischio;
– anche nel 2019, di fronte a una TC che mostrava una porzione cervicale ingrandita e disomogenea, avrebbe dovuto richiedere approfondimenti (Pap test, colposcopia, isteroscopia);
– la mancata indicazione a tali esami ha determinato un ritardo diagnostico di circa due anni, che ha inciso sull’evoluzione clinica, conducendo la paziente a un trattamento demolitivo molto più invasivo rispetto a quanto sarebbe stato necessario in uno stadio precoce.

Il CTU ha stimato un danno biologico permanente del 18%, oltre a periodi di inabilità temporanea legati al ricovero e alle terapie oncologiche.

Il risarcimento

Grazie al supporto dei professionisti Iuremed, la signora Laura ha potuto dimostrare la responsabilità sanitaria per l’omessa diagnosi tempestiva e ottenere un risarcimento commisurato al danno subito, sia sotto il profilo fisico che psicologico.

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Fistola ureterale dopo isterectomia laparoscopica

La signora Maria Rossi (nome di fantasia) si è rivolta a Iuremed dopo un percorso sanitario doloroso e complesso, iniziato nel 2016 con la diagnosi di polipi endometriali e iperplasia complessa con atipia. L’indicazione terapeutica – correttamente aderente alle linee guida nazionali ed internazionali – fu l’isterectomia totale laparoscopica con annessiectomia bilaterale.

Le complicanze post-operatorie

Nonostante la correttezza dell’indicazione e la competenza degli operatori, l’intervento eseguito presso l’Azienda Sanitaria Alfa generò una grave complicanza: una fistola uretero-vaginale, conseguenza di un danno termico/ischemico all’uretere destro verificatosi durante le manovre coagulative. La lesione non fu immediatamente riconosciuta e portò, nelle settimane successive, a ricoveri ripetuti, posizionamento di nefrostomia, tentativi di stent e, infine, a un nuovo intervento di riparazione chirurgica.

Da quel momento la paziente ha sviluppato incontinenza urinaria permanente, infezioni urinarie ricorrenti e una sindrome ansioso-depressiva che hanno compromesso in maniera significativa la qualità della sua vita quotidiana.

Le conclusioni del CTU

La consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che:
– l’indicazione all’intervento era corretta;
– la complicanza non può essere considerata una mera eventualità imprevedibile, bensì effetto di errore tecnico imputabile ai sanitari, i quali avrebbero dovuto allontanare l’uretere durante le manovre di coagulazione;
– sussiste un nesso causale diretto fra l’isterectomia e la fistola ureterale insorta;
– la signora Rossi ha riportato un danno biologico permanente del 15%, oltre a 45 giorni di inabilità temporanea totale e 150 giorni di inabilità temporanea parziale.

Il risarcimento

Grazie all’assistenza dei professionisti Iuremed, la paziente ha potuto vedere riconosciute le sue ragioni e ottenere un giusto risarcimento per i gravi postumi riportati.

👉 Se anche tu hai vissuto un’esperienza simile di presunta responsabilità medica, non esitare a contattare il nostro numero verde 800 931194: un team di esperti medici e legali è a tua disposizione per valutare gratuitamente il tuo caso.

Incontinenza e deficit erettile dopo intervento HoLEP


Mario (nome di fantasia) si è rivolto a Iuremed dopo un intervento di enucleazione endoscopica della prostata con laser ad olmio (HoLEP), eseguito in una rinomata struttura sanitaria milanese. L’operazione, indicata per trattare i suoi disturbi urinari, avrebbe dovuto migliorare la qualità della vita; al contrario, ha determinato conseguenze invalidanti che lo hanno spinto ad avviare un’azione giudiziaria.

La patologia e l’intervento subito

Prima dell’operazione, Mario soffriva di disturbi urinari da ipertrofia prostatica benigna: urgenza minzionale, riduzione del flusso e frequenti episodi di impellenza. Non presentava però episodi di incontinenza né problemi di natura sessuale: la sua funzione erettile era normale e soddisfacente.

L’intervento HoLEP è una tecnica mini-invasiva ormai consolidata, che utilizza un laser ad alta energia per rimuovere il tessuto prostatico in eccesso. È considerata sicura, ma non priva di rischi. Tra le complicanze più frequenti segnalate in letteratura si annoverano disturbi minzionali temporanei, incontinenza urinaria e riduzione della funzione sessuale.

Le complicanze post-operatorie

Nel caso di Mario, il decorso post-chirurgico non è stato quello atteso. Fin dalle dimissioni ha iniziato a soffrire di:

  • incontinenza urinaria mista: legata sia a un’iperattività della vescica (urgenza) sia a una lesione dello sfintere uretrale, riconducibile a un errore tecnico durante l’intervento;
  • deficit erettile persistente, nonostante l’uso di farmaci specifici, con la sola possibilità di erezioni insufficienti ai rapporti completi.

Tali condizioni hanno inciso in maniera significativa sulla vita personale e relazionale del paziente, determinando un impatto anche psicologico e sulla sua autostima.

Le responsabilità accertate dal CTU

La Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) ha ricostruito l’intera vicenda, evidenziando diverse criticità:

  • l’intervento è stato programmato ed eseguito senza una preparazione adeguata, in assenza di valutazioni funzionali approfondite sulla reale condizione del sistema urinario;
  • il consenso informato firmato da Mario non menzionava chiaramente il rischio di incontinenza, pur essendo questa una complicanza nota e riconosciuta in letteratura;
  • l’intervento ha determinato una lesione iatrogena dello sfintere uretrale, causa diretta dell’incontinenza da stress;
  • l’incontinenza da urgenza, invece, era latente già prima dell’intervento ed è stata slatentizzata dalla rimozione dell’ostacolo prostatico.

Secondo i periti, l’esperienza del chirurgo e la corretta esecuzione dell’atto operatorio rappresentano fattori determinanti per ridurre il rischio di queste complicanze: nel caso concreto, si è registrata una violazione delle regole di prudenza richieste in un intervento complesso come la HoLEP.

Il danno residuato

Oggi Mario convive con:

  • incontinenza mista persistente, che lo costringe all’uso quotidiano di ausili assorbenti;
  • disfunzione erettile grave, migliorata solo parzialmente dai farmaci;
  • un impatto rilevante sulla qualità della vita, sulle relazioni personali e sull’autostima.

Si tratta, dunque, di un danno biologico permanente che il CTU ha collegato in maniera diretta all’atto chirurgico e alla sua non corretta gestione.

La tutela legale e il risarcimento

Grazie al supporto dei professionisti di Iuremed, Mario è riuscito a ottenere un giusto risarcimento per il grave danno subito.

Se anche tu o un tuo familiare avete vissuto un’esperienza simile, potete contattare senza impegno il numero verde 800 931 194 per ricevere assistenza e una prima valutazione gratuita del vostro caso.

Come si liquida il danno biologico in caso di morte conseguente a lesioni? La Cassazione aiuta a fare confusione

Commento a Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2025, n. 23064


di Donato Sandro Putignano

1. Introduzione

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, 11 agosto 2025, n. 23064, si inserisce nel già articolato filone giurisprudenziale in tema di danno biologico conseguente a trasfusioni infette e, più in generale, di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale in caso di morte successiva alle lesioni.
La decisione, confermando orientamenti già espressi nel 2022 e nel 2023, ha ribadito che non si applica alcuna riduzione del risarcimento per effetto della premorienza quando il decesso sia causalmente riconducibile alle stesse lesioni.

2. Il filone delle trasfusioni infette

Nelle pronunce più recenti la Suprema Corte ha stabilito un principio netto: se la morte è dovuta alla patologia causata dal fatto illecito (nel caso di specie un’epatite post-trasfusionale degenerata in cirrosi ed epatocarcinoma), il danno biologico va liquidato come se la vittima fosse sopravvissuta, senza operare riduzioni correlate alla durata effettiva della vita.
In altre parole, il risarcimento viene calcolato parametrandolo alla vita “statistica” che il soggetto avrebbe avuto in assenza dell’illecito, escludendo ogni abbattimento per la prematura scomparsa.

3. Il contrasto con Cass. 28168/2019, rel. Rossetti

Tale tecnica liquidativa si pone tuttavia in evidente contrasto con quanto affermato dalla stessa Cassazione in epoca non lontana.
Con l’ordinanza n. 28168/2019, relatore Rossetti, la Corte aveva chiarito che in caso di morte conseguente a lesioni non può mai configurarsi un danno biologico permanente iure hereditatis, poiché la morte esclude la stabilizzazione dei postumi.
Secondo quella ricostruzione:

  • la vittima che sopravviva “quodam tempore” e poi muoia a causa delle lesioni può subire solo un danno biologico temporaneo,
  • la liquidazione deve avvenire in rapporto al periodo effettivamente vissuto,
  • il danno permanente è per definizione incompatibile con il decesso sopravvenuto.

L’impostazione del 2019 si fondava su rigorosi presupposti medico-legali: la malattia che conduce alla morte non consente di parlare di stabilizzazione dei postumi e dunque di invalidità permanente.

4. Una giurisprudenza oscillante

Il contrasto tra i due indirizzi è evidente.
Da un lato, il filone delle trasfusioni infette (Cass. 32916/2022; Cass. 10902/2023; Cass. 23064/2025) valorizza l’idea che, essendo la morte stessa conseguenza dell’illecito, il danno biologico permanente debba essere liquidato nella sua interezza, senza riduzioni per premorienza.
Dall’altro lato, l’insegnamento del 2019 insiste sul fatto che, in assenza di sopravvivenza oltre il periodo patologico, non vi è spazio per parlare di postumi permanenti, bensì solo di invalidità temporanea.

5. Considerazioni conclusive

La sentenza del 2025, pur collocandosi nel solco delle decisioni più recenti, accresce la confusione sistematica.
La Cassazione, infatti, non solo non ha risolto il contrasto con l’orientamento del 2019, ma ha omesso di rimettere la questione alle Sezioni Unite, nonostante si tratti di un nodo di diritto chiaramente bisognoso di un intervento nomofilattico.
Il risultato è che oggi convivono due criteri liquidativi opposti:

  • criterio restrittivo (2019, Rossetti): danno biologico solo temporaneo;
  • criterio estensivo (2022–2025, trasfusioni infette): danno biologico permanente senza abbattimento.

Ancora una volta, dunque, l’assenza di un intervento chiarificatore del massimo consesso della Suprema Corte lascia gli operatori del diritto in balia di un’incertezza interpretativa che si traduce in disuguaglianze applicative e in un sistema poco coerente.


Barèmes medico-legali e potere di valutazione del giudice: la Cassazione n. 20788/2025 conferma l’autonomia decisionale del magistrato

Con la recente ordinanza n. 20788/2025 del 23/7/2025, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione interviene su un tema che diventa sempre più centrale nell’attività medico-legale giudiziaria: il potere del giudice di discostarsi dalla consulenza tecnica d’ufficio e di scegliere consapevolmente quale bareme applicare alla valutazione del danno alla persona, a condizione che ne dia congrua motivazione.

La vicenda sottoposta all’attenzione della Corte riguardava un classico caso di sinistro stradale con postumi permanenti di lieve entità, valutati dal CTU nel 2%, ma elevati dal giudice di primo grado al 7%, sulla base del barème tabellare previsto dal D.M. 3 luglio 2003, riferito alle menomazioni comprese tra 1 e 9 punti. La Corte di Cassazione, pur rilevando l’assenza di un’adeguata motivazione nella sentenza d’appello che aveva aderito alle conclusioni del CTU, riafferma un principio fondamentale: il barème medico-legale è uno strumento nella disponibilità del giudice e non solo del consulente, e in quanto tale può essere scelto, controllato o persino sostituito dal magistrato, se ne ricorrano i presupposti di validità scientifica e congruità applicativa.

Il dato di maggiore rilievo sistematico della sentenza n. 20788/2025 sta nel chiarire che non solo nelle micropermanenti (dove vige l’obbligo di legge di applicare il D.M. 3 luglio 2003), ma in tutte le ipotesi di danno alla persona, il giudice ha il dovere di verificare se il criterio utilizzato sia aggiornato, condiviso dalla comunità scientifica e correttamente applicato. La decisione accoglie, infatti, il ricorso proprio perché il giudice d’appello non aveva motivato il proprio dissenso rispetto alla valutazione tabellare del primo giudice, fondata su un barème ritenuto dalla giurisprudenza “scientificamente corretto” (Cass. 19229/2022 e Cass. 11724/2021).

Tale principio assume oggi un’importanza rinnovata alla luce della coesistenza tra due modelli valutativi consolidati, ma profondamente diversi:

  • da un lato, le Linee Guida per la valutazione medico-legale del danno, edite da Giuffrè, largamente utilizzate nella prassi medico-legale, soprattutto per le invalidità gravi;
  • dall’altro, le Buone Pratiche Cliniche di Valutazione Medico-Legale delle menomazioni tra 10 e 100 punti, approvate nel 2024 dall’Istituto Superiore di Sanità, e basate su principi di medicina legale evidence-based e su una metodologia dichiaratamente trasparente e condivisa.

In questo scenario, il giudice, secondo la Cassazione, non è vincolato né alla valutazione del CTU, né all’adozione passiva di un barème diffuso ma non istituzionalmente validato, bensì ha la facoltà di preferire l’uno o l’altro, purché:

  • ne riconosca la validità scientifica,
  • ne motivi adeguatamente l’adozione o il rigetto,
  • e operi un controllo logico e giuridico sul procedimento valutativo del consulente.

La sentenza n. 20788/2025 diventa così un punto di equilibrio tra autonomia tecnico-scientifica e funzione giurisdizionale, riaffermando che l’accertamento medico-legale del danno biologico è sì un fatto tecnico, ma sottoposto a valutazione giuridica e sindacabile alla luce del principio del giudice “peritus peritorum”.

In un’epoca in cui si cerca di rendere la valutazione del danno sempre più scientificamente fondata e giuridicamente uniforme, la decisione della Corte offre un quadro di riferimento chiaro: non esistono baremes intangibili e il giudice non può esimersi dal compiere un vaglio critico della base tecnico-scientifica su cui poggia la decisione, specie quando le fonti oggi disponibili si pongono su piani diversi (giurisprudenziale, editoriale, istituzionale).