Morte per endocardite batterica a seguito di impianto di ICD
Nel settembre 2013 Vittorio (nome di fantasia), 74 anni, affetto da cardiopatia dilatativa e già operato per valvuloplastica aortica, si reca al Pronto Soccorso di un ospedale di Salerno ed è ricoverato con una diagnosi di deficit funzionale del ventricolo sinistro. È sottoposto d’urgenza a un intervento chirurgico per impianto di defibrillazione ventricolare. L’operazione non riesce correttamente per un errato posizionamento del dispositivo e quindi Vittorio torna in sala operatoria per una nuova operazione. Il post-operatorio lo vede tornare in Pronto Soccorso più volte per poi essere trasferito in un altro ospedale con sospetto diagnostico di endocardite batterica da Pseudomonas Aeruginosa. Ma è tardi, le condizioni dell’uomo sono molto gravi. Vittorio muore a novembre per shock cardiaco.
I familiari, la moglie e i figli, si rivolgono a IUREMED per accertare le responsabilità mediche, in particolare la perdita delle possibilità di sopravvivenza per negligenza nella cura. Chiedono e ottengono anche un risarcimento per la perdita del loro familiare.
Impianto di defibrillazione ed endocardite batterica: il contesto
Il defibrillatore cardiaco impiantabile o ICD (Implantable Cardioverter Defibrillator) è un dispositivo impiantato chirurgicamente in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare ed erogare uno shock salvavita per riportare il ritmo alla normalità. Quella con defibrillatori impiantabili è una terapia efficace e affidabile.
L’endocardite, invece, è un’infezione delle strutture cardiache (l’endocardio riveste i lembi valvolari e le pareti delle cavità cardiache). Si definisce batterica quando a causare l’infiammazione sono agenti patogeni come parassiti, batteri o funghi. Se non trattata in tempo, si può estendere alle valvole cardiache e ad altre parti del cuore, alterandone la normale attività e sottoponendo quindi il cuore a uno sforzo maggiore nel pompaggio del sangue.
L’origine dell’endocardite di natura batterica è spesso dovuta a determinate procedure chirurgiche. Se non curata può compromettere in maniera irreversibile il cuore e comportare complicazioni che, se non si interviene rapidamente, possono mettere in serio pericolo la vita del paziente e portare al decesso. Nell’endocardite batterica virus o batteri si insinuano nel sangue fino a raggiungere il cuore. L’attacco di questi microorganismi nocivi è molto rischioso per il sistema cardiovascolare.
I Fatti
Vittorio soffre di cardiopatia dilatativa e nel settembre del 2013 si reca in Pronto Soccorso presso un ospedale salernitano. È subito ricoverato per deficit funzionale del ventricolo sinistro e sottoposto a operazione chirurgica per l’inserimento di un impianto di defibrillatore ventricolare.
Per un errore chirurgico, il dispositivo non è posizionato correttamente, quindi Vittorio è operato nuovamente per il riposizionamento. A metà ottobre l’uomo torna in P.S. con ipotermia e brividi scuotenti. È visitato dal cardiologo che referta una sospetta endocardite e indica il suo trasferimento presso il Reparto Malattie infettive. Nonostante le indicazioni del cardiologo, il personale sanitario non esegue il trasferimento, anzi dimette Vittorio senza una lettera di dimissioni e un programma terapeutico.
I giorni seguenti Vittorio ha la febbre alta, brividi e sudorazione; quindi, a fine ottobre torna in P.S. Durante la degenza, le condizioni di salute dell’uomo peggiorano di giorno in giorno. I primi di novembre è trasferito presso un altro nosocomio in condizioni gravissime per endocardite da Pseudomonas Aeruginosa. Vittorio non ce la fa, muore dopo pochi giorni per shock cardiogeno (il cuore improvvisamente non riesce più a pompare abbastanza sangue per la funzionalità dell’organismo).
Le responsabilità mediche
Il dossier clinico di Vittorio è sottoposto alla valutazione di uno specialista medico legale che ravvisa gravissime responsabilità del personale medico della clinica di Salerno per le cure negligenti e imprudenti prestate durante i diversi ricoveri. In particolare, evidenzia che c’è stata leggerezza comportamentale nella gestione della febbre che aveva portato Vittorio più volte in P.S. e per non aver seguito l’indicazione del cardiologo di trasferire il paziente nel Reparto di Malattie infettive.
Il Tribunale di Salerno riconosce quindi alla moglie di Vittorio un risarcimento pari a 180.000 euro, ai due primi figli 250.000 euro ciascuno e alla figlia minore 220.000 euro. Vittorio, inoltre, muore dopo circa 30 giorni dal primo ingresso in P.S. in cui la febbre era sempre presente. Quindi è riconosciuto agli eredi anche il diritto al risarcimento per danno biologico e lesione del diritto alla cura e alla salute, quantificato in euro 70.000.
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