Meningocele mal gestito post laminectomia L4-S1

Nel 2008 Sabina (nome di fantasia) di 50 anni, si sottopone a Risonanza Magnetica lombosacrale per capire il motivo dei dolori che l’attanagliano da tempo presso una clinica di Lecce. Dopo vari accertamenti si scopre la causa: un’ernia discale. L’indicazione è l’operazione chirurgica ma il post operatorio si rivelerà lungo e doloroso, un vero calvario per la donna, e saranno necessari ulteriori interventi e diversi esami diagnostici.

Sabina quindi si rivolge a Iuremed per ottenere un risarcimento per le tante sofferenze patite in 7 anni di vicenda clinica.

Laminectomia L4-S1: il contesto

La colonna vertebrale è formata da 33 vertebre che avvolgono e proteggono il midollo spinale. Le vertebre sono separate e ammortizzate tra loro da dischi intervertebrali.

La compressione di un disco può causare un’ernia o una rottura e premere su un nervo con un dolore da moderato a grave. Inoltre, escrescenze ossee eccedenti, dette “speroni”, possono premere su un nervo. Anche la formazione di uno sperone osseo nel canale centrale delle vertebre può comprimere il midollo spinale.

La pressione esercitata sul nervo lesionato e sul midollo spinale può essere alleviata attraverso un approccio chirurgico detta laminectomia lombare. È un intervento in cui si pratica una piccola incisione sulla cute lungo le vertebre lombari e si procede poi alla separazione dei muscoli per esporre l’osso. La parte di vertebre detta “lamina” è rimossa lentamente, con molta cautela, togliendo la pressione dal nervo compresso e dal midollo spinale. Quindi, il nervo è tirato con delicatezza da un lato e la porzione di disco erniato è rimossa. In questo modo si riduce la pressione e il dolore. Successivamente, i muscoli sono riposizionati e l’incisione è suturata.

Resta comunque un intervento piuttosto complesso che può comportare possibili complicanze.

I Fatti

A giugno del 2008 Sabina, sottoposta a RMN lombosacrale, ottiene un referto che evidenzia la presenza di fenomeni artrosici con degenerazione di alcuni dischi invetrebrali e una protusione, cioè una deformazione dello strato più esterno di un disco intervertebrale della colonna, per cui risulta schiacciato e fuori asse rispetto agli altri dischi sani.

Ma il dolore è sempre più intenso e a gennaio 2011 Sabina si sottopone a ulteriori controlli clinici e strumentali che riscontrano la presenza di ernia discale.

Il responsabile dell’Ambulatorio di Neurochirurgia della clinica a cui Sabina si è rivolta, indica la necessità di un intervento neurochirurgico.

A febbraio quindi la donna è portata in sala operatoria e sottoposta a laminectomia L4-S1. È un intervento piuttosto complesso, in cui possono manifestarsi possibili complicanze associate a questa procedura, che vanno discusse con il paziente prima dell’intervento chirurgico.

A fine mese, Sabina è dimessa con l’indicazione di visita fisiatrica dopo 2 settimane e visita di controllo a 2-3 mesi.

A fine giungo si sottopone a Elettromiografia (EMG) e a una RM della colonna. I due esami evidenziano una voluminosa raccolta fluida che interessa lo spazio interspinoso e paravertebrale, che comprime a sinistra il sacco durale. Il sacco durale è il primo dei 3 foglietti di tessuto connettivo fibroso che rivestono l’interno del canale vertebrale e proteggono il midollo spinale.

Si accerta quindi la presenza di un meningocele post chirurgico (o pseudomeningocele, cioè un difetto nella chiusura della parte posteriore della colonna vertebrale, caratterizzato dall’erniazione del sacco contenente il liquido cerebrospinale).

Il chirurgo prescrive quindi l’esecuzione di una seconda operazione per l’asportazione del meningocele.

A fine novembre Sabina è quindi nuovamente ricoverata presso la clinica leccese, con diagnosi di “meningocele lombare” e valutazione obiettiva di “parestesi AAII (formicolio localizzato agli arti inferiori, tipo puntura di spilli).

Nel dicembre del 2011 torna in sala operatoria per la riparazione del meningocele.

La RMN eseguita per controllo a febbraio del 2012 presenta però delle complicanze dovute all’intervento. Dal giugno 2013 al luglio dello stesso anno, Sabina è ricoverata presso una Casa di Cura pugliese, dove è sottoposta all’ennesimo intervento di riduzione del meningocele e plastica durale.

Il decorso post operatorio sembra procedere bene, quindi Sabina è dimessa con l’indicazione del divieto di flessione per 4-6 mesi.

Al controllo con EMG di novembre, la situazione però non è rosea e il dolore non passa. Si sottopone perfino a una visita specialistica presso un centro austriaco con l’indicazione di sindrome da irritazione radicolare, in cui le prescrivono un trattamento per il dolore e la neurostimolazione midollare, che Sabina esegue nel settembre del 2014.

A luglio del 2015 la donna esegue un’ennesima RM al rachide in cui si riscontrano “segni di dilatazione simil cistica di 22 mm”.

La storia di Sabina è un calvario infinito, fatto di continue operazioni e dolore, a partire dal primo intervento. È quindi legittima la richiesta di risarcimento, che poi ha ottenuto, per il danno subito.

Le responsabilità mediche

L’esito della consulenza degli esperti della CTU ha evidenziato congrua l’indicazione all’intervento di laminectomia per la comparsa del dolore alla schiena dopo le gravidanze e dopo una terapia fisica e farmacologica sempre meno efficace. Tuttavia, nell’esecuzione tecnica dell’intervento è evidente che si determinò uno pseudomeningocele e una fistola. Si tratta di una possibile complicanza, sebbene non frequente della chirurgia spinale, causata da una lesione del sacco durale che potrebbe derivare da una trazione eccessiva delle radici nervose, da un trauma diretto o da incisione accidentale durante l’intervento. Dal punto di vista clinico, lo pseudomeningocele si presenta con dolore circoscritto, irradiazione agli arti inferiori e cefalee.

Gli esperti hanno quindi concluso, sulla scorta delle evidenze scientifiche, che durante l’intervento di laminectomia L4-S1 si determinò una lacerazione durale che evolse ulteriormente, determinando una sintomatologia algico-disfunzionale.

Tale lacerazione può qualificarsi come una complicanza nel corso della laminectomia, sebbene non evitabile in senso assoluto.

Tuttavia, la mancata individuazione e riparazione della lacerazione durale nel corso del secondo intervento rappresentò una carenza da parte dell’equipe operatoria che determinò un peggioramento del quadro clinico.

Sabina, a causa delle carenze assistenziali evidenziate, ha sviluppato una sindrome dolorosa neuropatica, con diverse disfunzioni articolari. In pratica, ha subito un danno dovuto a una non corretta gestione della complicanza nel corso del primo intervento.

Il Tribunale ha stabilito un indennizzo per danno non patrimoniale di euro 75.000,00, mentre per danno patrimoniale di euro 2.366,96.

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