Lombosciatalgia ed errore nell’intervento di artrodesi

La vicenda di Matilde, 65 anni all’epoca dei fatti, inizia con un forte dolore alla schiena che l’affligge già da molto tempo, a livello del rachide. Per più di 6 mesi ha indossato un bustino, mentre dai farmaci non trae più alcun beneficio. Pertanto, inizia un percorso diagnostico per valutare il da farsi dal punto di vista medico. Esegue una TC alla colonna e una RM lombosacrale, per poi ricoverarsi presso una clinica privata e sottoporsi a un’operazione di artrodesi posteriore L4/L5/L6.

Ma dopo l’intervento, il dolore non passa, nemmeno con i farmaci e Matilde è costretta a operarsi per la seconda volta per un errore chirurgico.

Si rivolge quindi a IUREMED per richiedere un equo risarcimento per il danno subito.

Lombosciatalgia e artrodesi: il contesto

La lombosciatalgia, detta anche sciatica o sciatalgia lombare, è una condizione caratterizzata da dolore alla parte bassa della schiena, all’altezza delle vertebre lombari, che può irradiarsi lungo la gamba. È causata da un’infiammazione del nervo sciatico. Il dolore acuto, simile a una scossa elettrica, è il sintomo principale, cui si possono associare alterazioni della sensibilità quali formicolio, intorpidimento, riduzione della forza di alcuni muscoli della gamba, del piede, della coscia e conseguenti difficoltà a camminare.

Spesso è dovuta, appunto, a una compressione del nervo sciatico, provocata da alcune condizioni come: ernia del disco, sperone osseo (cioè, una protrusione che si forma sulla superficie di un osso) sulla colonna vertebrale, restringimento della colonna vertebrale (stenosi spinale), trauma o lesione spinale, infezione o, più raramente, tumore.

L’artrodesi delle vertebre lombari, invece, è una tecnica chirurgica che permette di stabilizzare la colonna per ridurre dolori o deformità.

È un intervento che consente di unire le ossa del tratto lombare della colonna vertebrale con o senza l’inserimento di impianti (viti, barre, placche) di metallo o non metallici.

I Fatti

Dopo una serie di accertamenti ed esami diagnostici, Matilde, che soffre ormai da tempo di una forte lombalgia, è ricoverata presso una clinica torinese per eseguire un intervento di artrodesi posteriore L4/L5/L6.

È dimessa con prescrizione di terapia medica e fisica e l’uso di un busto.

Dopo alcuni mesi dall’operazione però il dolore non solo non migliora, ma si aggrava ulteriormente. Matilde allora si sottopone ad altri accertamenti e si rivolge alla struttura che l’ha operata. Il medico responsabile del servizio chirurgia vertebrale ammette un errore nell’intervento chirurgico e si dice disponibile a operare nuovamente con una metodica più adeguata. Matilde è quindi operata una seconda volta e dimessa con terapia fisica, farmacologica e bustino da portare per tre mesi.

Ma il dolore persiste e dopo un mese la donna si reca presso un ospedale torinese per altri accertamenti clinici. Il dolore è continuo a livello costale e non riesce a stare dritta nemmeno con i farmaci.

Le responsabilità mediche

Nonostante il secondo intervento correttamente eseguito, le condizioni cliniche di Matilde non sono migliorate. La donna presenta e presentava un grave stato artrosico e la degenerazione aveva già comportato sintomi di compressione neurologica. Infatti, anche l’esame elettromiografico refertava la presenza di deficit a carico del nervo sciatico destro.

L’intervento, quello correttivo, ha ripristinato qualcosa ma le perdite funzionali non sono ormai recuperabili.

Matilde inoltre versa in uno stato depressivo che comunque non aiuta un recupero completo.

Gli esperti della CTU ritengono che il primo intervento chirurgico sia stato inadeguato per un’erronea progettazione. Infatti, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere eseguito l’intervento che fu poi proposto successivamente.

In pratica Matilde fu sottoposta a un secondo intervento poiché la tecnica chirurgica della prima operazione non era corretta.

Il danno biologico permanente è stato calcolato considerando gli esiti di un intervento correttamente progettato ed eseguito e confrontandoli con quelli attuali. Il quadro anatomo-clinico attuale è tale da comportare un’invalidità permanente quantificabile intorno al 25%.

Matilde decide di avvalersi di una mediazione, per una transazione in via bonaria con la clinica, che le consente di ottenere un equo risarcimento.

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