Ischemia per negligente sospensione di cardioaspirina prima di intervento di protesi d’anca
In questo nuovo caso di responsabilità medico-sanitaria affrontiamo una richiesta di risarcimento danni per le conseguenze di una ischemia causata da una negligente sospensione di terapia anticoagulante.
Ripercorriamo quindi la storia di Salvatore (nome di fantasia), 63 anni, ricoverato presso un ospedale partenopeo nel 2012 per un intervento di artroprotesi di anca.
L’uomo si è rivolto a Iuremed per ottenere un equo risarcimento del danno subito in ospedale, somma che ha felicemente ottenuto.
Coxartrosi dell’anca, cardiopatia ischemica cronica e artroprotesi: il contesto
L’artrosi dell’anca o coxartrosi è una malattia degenerativa dell’articolazione posta tra il bacino e il femore (coxo-femorale). Nello specifico, è l’infiammazione della cartilagine che riveste l’articolazione dell’anca, dovuta al suo deterioramento.
Quando il dolore all’anca è acuto e si accompagna a gravi limitazioni della funzione articolare, lo specialista può prescrivere la sostituzione dell’articolazione con una protesi. Solitamente si suggerisce un intervento di artropotesi o protesi d’anca in soggetti con più di 60 anni, sia per la durata delle protesi, sia perché, con l’avanzare dell’età, diminuisce la richiesta di prestazioni fisiche. L’intervento consente il recupero di una buona qualità di vita e la risoluzione del dolore.
L’ischemia coronarica, invece, detta anche cardiopatia ischemica, è una malattia del cuore che colpisce le coronarie. In particolare, questi vasi arteriosi non riescono più a rifornire di sangue e ossigeno il muscolo cardiaco per un loro progressivo restringimento, portando il cuore in uno stato di sofferenza.
Il deficit di ossigeno può essere acuto o cronico, transitorio o permanente con conseguenze anche gravi e riduzione della funzionalità cardiaca. L’ostruzione improvvisa delle coronarie può inoltre causare l’infarto del miocardio, con un alto rischio di arresto circolatorio e quindi di morte.
Il trattamento terapeutico dell’ischemia coronarica mira a ripristinare il corretto flusso sanguigno ed è prettamente farmacologico (uso di cardioaspirina, beta-bloccanti, ecc.).
Tuttavia, nei casi più severi, può essere necessario eseguire un’angioplastica coronarica oppure un bypass coronarico.
I Fatti
Nel febbraio 2012 Salvatore, affetto da coxartrosi dell’anca sinistra, entra in ospedale per essere sottoposto a un intervento chirurgico di artroprotesi. L’uomo soffre anche di cardiopatia ischemica coronarica, ma durante la degenza, in attesa della chirurgia, i medici sospendono per 9 giorni la sua terapia farmacologica a base di cardioaspirina.
Dopo appena tre giorni dall’operazione, Salvatore è colpito da un episodio ischemico acuto e per questo trasferito di urgenza nel reparto di Terapia intensiva di un altro ospedale. È quindi sottoposto a un intervento di angioplastica con stent.
L’operazione all’anca, inoltre, non è stata eseguita correttamente, poiché nel post-operatorio si evidenziano degli innesti ossei non ben posizionati che comportano per Salvatore serie difficoltà deambulatorie.
Le responsabilità mediche
Le conseguenze invalidanti di un intervento chirurgico eseguito non correttamente, spingono Salvatore a richiedere un risarcimento del danno per malpractice medica.
Il nosocomio in questione, inizialmente rigetta le conclusioni della CTU, stilata da un medico legale e da un ortopedico, durante il procedimento di mediazione. Per questo motivo Salvatore decide di ricorrere alla causa legale, anche per l’aggravamento del suo stato di salute dovuto all’operazione.
Dalla documentazione fornita, Salvatore è ricoverato con una diagnosi di coxartrosi dell’anca sinistra, ma è affetto anche da cardiopatia ischemica cronica, con un precedente evento di infarto del miocardio nel 2006 con angioplastica coronarica.
Dopo poche ore dall’intervento di protesi dell’anca, Salvatore è colpito da un evento ischemico acuto e trasferito con urgenza presso l’Unità di terapia intensiva di un altro ospedale, dove subisce un’altra operazione al cuore.
La sospensione della terapia per la protezione antitrombotica decisa dal personale sanitario della struttura ospedaliera è stata valutata una scelta decisamente errata. Secondo le Linee Guida, infatti, l’interruzione della cura deve essere il più breve possibile, cioè circa 5 giorni prima dell’intervento, con ripresa subito dopo l’operazione.
Ma non basta: durante l’intervento, la scelta errata della misura del cotile (la cavità articolare dell’ileo in cui si inserisce la testa del femore), nemmeno ben cementato, ha comportato per l’uomo dolore articolare e difficoltà a camminare.
Il giudice ha dunque riconosciuto le ragioni di Salvatore e una liquidazione del danno biologico, considerando l’età dell’uomo e l’invalidità subita, quantificata in euro 302.450,00.
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