Il danno patrimoniale futuro in caso di ridotta aspettativa di vita per errore medico: la Cassazione è confusa ma non va a Sezioni Unite
Nel giro di pochi mesi, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata due volte su una questione di grande rilievo nella materia della responsabilità sanitaria: la corretta quantificazione del danno patrimoniale futuro in favore di una vittima gravemente lesionata e con aspettativa di vita significativamente ridotta a causa dell’errore medico. Le due decisioni — Cass. civ., sez. III, n. 31684/2024 e Cass. civ., sez. III, n. 15456/2025 — si collocano in un evidente contrasto, soprattutto con riguardo al criterio temporale di calcolo del lucro cessante.
1. L’Ordinanza Cass. n. 31684/2024: risarcimento integrale parametrato alla vita media
Nella decisione del 9 dicembre 2024, la Corte (Pres. Scoditti, rel. Vincenti) si è espressa in una causa relativa a una neonata affetta da tetraparesi spastica a seguito di un parto mal condotto. La Corte ha ritenuto non legittimo l’abbattimento del danno patrimoniale futuro (e neppure del danno non patrimoniale), anche in presenza di una documentata riduzione dell’aspettativa di vita della vittima (accertata in 20 anni).
La motivazione valorizza il principio secondo cui, se la ridotta speranza di vita è essa stessa conseguenza dell’illecito, tale elemento non può tradursi in una riduzione del quantum risarcitorio, altrimenti si produrrebbe un “vantaggio inammissibile” per il danneggiante. La Corte ha ritenuto che la liquidazione del danno debba avvenire sulla base della vita media, anche in presenza di accertata minore aspettativa.
Nell’impianto della decisione viene richiamata la nozione di “rischio latente” già valorizzata in Cass. n. 26118/2021 per la liquidazione del danno non patrimoniale: tale rischio costituisce una componente del danno biologico e va integrato o tramite aumento del punteggio di invalidità o tramite una personalizzazione in sede equitativa, ma non può comportare una decurtazione del risarcimento patrimoniale.
2. L’Ordinanza Cass. n. 15456/2025: danno patrimoniale parametrato alla vita residua
Di tenore opposto è la successiva ordinanza del 10 giugno 2025 (Pres. Travaglino, rel. Dell’Utri), sempre della Terza Sezione, in una controversia analoga, riguardante un neonato gravemente cerebroleso per malpractice ostetrica.
Pur riconoscendo l’intera responsabilità della struttura sanitaria, la Corte ha censurato la liquidazione del danno patrimoniale futuro da lucro cessante operata dalla Corte d’Appello di Firenze. Il vizio rilevato consiste nel fatto che il giudice d’appello aveva dapprima accertato una ragionevole aspettativa di vita del danneggiato fino a 30 anni, ma aveva poi parametrato il danno alla durata dell’intera vita lavorativa (fino a 65 anni).
Secondo la Corte, tale incongruenza viola i criteri logico-giuridici di quantificazione, giacché il danno patrimoniale futuro — a differenza di quello non patrimoniale — deve essere parametrato sulla concreta capacità reddituale perduta, che nel caso specifico non avrebbe potuto maturarsi oltre l’aspettativa di vita accertata (trent’anni).
Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza d’appello proprio sul punto della mancata coerenza tra durata del danno e aspettativa concreta di vita, affermando implicitamente il principio secondo cui il danno patrimoniale futuro deve essere liquidato solo per il periodo in cui ragionevolmente la vittima avrebbe potuto produrre reddito, anche se tale limite è stato causato dal fatto illecito.
3. Due visioni inconciliabili a confronto
Il contrasto tra le due decisioni è netto:
- Cass. 31684/2024 ritiene che la vita media resti il parametro di riferimento anche per il danno patrimoniale.
- Cass. 15456/2025 afferma che la quantificazione del danno patrimoniale futuro non può prescindere dalla concreta aspettativa di vita, anche se inferiore a quella media e determinata proprio dall’illecito.
In sintesi, mentre la prima pronuncia esclude una “premialità” per il danneggiante che abbia accorciato la vita della vittima, la seconda pone l’accento sulla effettiva possibilità del danneggiato di subire perdite reddituali, ammettendo quindi una liquidazione temporalmente ridotta.
4. L’assenza di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite
Colpisce, sul piano sistematico, che due decisioni così ravvicinate, entrambe pronunciate dalla Terza Sezione, e con contenuti oggettivamente inconciliabili, non abbiano determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite. Il contrasto riguarda direttamente l’art. 1223 c.c. in tema di nesso di causalità e integralità del risarcimento, ed evidenzia due filosofie opposte sul ruolo riparatorio (vs. punitivo o compensativo) della responsabilità civile.
5. Conclusioni
La materia del danno patrimoniale in caso di ridotta aspettativa di vita causata da fatto illecito resta dunque priva di un indirizzo univoco, in attesa di un chiarimento da parte delle Sezioni Unite. Nel frattempo, il rischio è che si determinino decisioni divergenti nei giudizi di merito, con possibili sperequazioni tra danneggiati in situazioni analoghe.
Una riflessione urgente sul tema si impone, anche in sede dottrinale, per evitare che la casualità della composizione del collegio prevalga sulla certezza del diritto in una materia di delicata importanza sociale e giuridica.


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