Disfagia come conseguenza di un’errata plastica antireflusso

Siamo nel 2018 quando Patrizia (nome di fantasia), 41 anni, assistita da Iuremed, ricorre in Appello nei confronti di una clinica privata modenese, in cui fu ricoverata nel 2004, per richiedere e ottenere un giusto risarcimento per danni patrimoniali e non.

Il Tribunale di Modena inizialmente aveva, infatti, rigettato l’istanza ritenendo essere già intervenuta la prescrizione. Per questo motivo Patrizia, con il nostro aiuto, decide di andare fino in fondo per avere un giusto risarcimento.

Vediamo com’è andata.

Cos’è la plastica antireflusso

La malattia da reflusso gastroesofageo è un disturbo benigno molto diffuso che solitamente è curato mediante una terapia farmacologica e cambiamenti nello stile di vita. Si verifica quando i succhi gastrici entrano in contatto con la parete dell’esofago, provocando bruciore dietro lo sterno e rigurgito acido, ma anche sintomi più sfumati come la tosse notturna.

La chirurgia è impiegata solo in casi specifici: la terapia non è sufficiente a controllare i sintomi nonostante la cura, la dieta e le norme comportamentali indicate, è presente un’ernia jatale, ci sono lesioni nella mucosa dell’esofago o chi ne soffre decide di non assumere farmaci inibitori della secrezione acida gastrica per periodi troppo lunghi.

L’intervento ha l’obiettivo di ricostituire una barriera efficace tra stomaco ed esofago allo scopo di favorire il passaggio dall’esofago allo stomaco, impedendo il percorso inverso, cioè da stomaco a esofago e quindi il contatto tra l’acidità gastrica e l’esofago. Questa barriera si ottiene avvolgendo parte dello stomaco intorno alla giunzione esofago-gastrica. È un intervento che risulta efficace in più del 90% dei casi. Si esegue in laparoscopia e consiste nell’isolamento dei pilastri diaframmatici, dell’esofago addominale e nella riduzione dell’eventuale ernia gastrica.  Il fondo gastrico è dunque isolato dalla milza e avvolto intorno alla parte terminale dell’esofago, quasi come una sciarpa.

I Fatti

Nel gennaio del 2004 Patrizia si sottopone a una plastica antireflusso (in termini medici, fundoplicatio secondo Nissen-Rossetti) e a una colecistectomia laparoscopica (rimozione della cistifellea) per curare il reflusso gastro-esofageo e per una diagnosi di coletiliasi (calcoli biliari della colecisti).

Il percorso post-operatorio, tuttavia, non è dei migliori. Patrizia, infatti, presenta tutta una serie di sintomi come esofagite, disfagia (difficoltà a deglutire), epigastralgia post-prandiale (forte dolore alla bocca dello stomaco dopo il pasto) e perdita di peso. Secondo il medico che l’ha operata, si tratta di una sintomatologia dovuta ad aerofagia (cioè eccessiva di aria nell’intestino) e le prescrive una terapia farmacologica.

Nel dicembre dello stesso anno Patrizia si sottopone a una gastroscopia di controllo. Il suo stato di salute sembra compromesso e i sintomi non regrediscono. L’esame però rileva soltanto l’infiammazione della mucosa gastrica e un’infezione batterica da Helicobacter Pylori.

L’anno successivo si sottopone a un esame manometrico esofageo presso un ospedale di Faenza. Si tratta di un test diagnostico che, attraverso l’introduzione di un piccolo catetere con un sondino per via nasale, permette di verificare la motilità dell’esofago, cioè la contrazione muscolare e la funzionalità degli sfinteri esofagei, superiore e inferiore.

L’esame finalmente permette di indentificare la vera causa dei sintomi. Il referto indica, infatti, la presenza di “ipertonia dello sfintere esofageo inferiore che si rilascia solo parzialmente con la deglutizione, come da iper-calibratura della plastica antireflusso”. La diagnosi è di “disfagia in esiti di plastica antireflusso” di cui si rileva una calibratura non regolare. In altre parole, la plastica antireflusso, non eseguita correttamente, non consentiva a Patrizia di deglutire bene.

Le responsabilità mediche

Patrizia si sottopone allora a una revisione dell’intervento chirurgico, cioè della plastica dei pilastri diaframmatici e antireflusso. È solo in questa fase che il chirurgo accerta l’erroneo posizionamento della giunzione esofago-gastrica nella zona intra addominale, che rende necessario una seconda operazione. La donna, quindi, scopre che tutti i suoi disturbi erano in realtà causati da un errore del primo chirurgo che l’aveva operata.

Il giudice della Corte di Appello di Bologna, alla luce dei nuovi fatti e dei nuovi accertamenti, ha riconosciuto l’errore medico e dunque il danno subito, condannando, pertanto, la clinica modenese a versare a Patrizia un risarcimento per le sofferenze patite.

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