Complicanze dell’intervento con tecnica STARR per defecazione ostruita

Antonella (nome di fantasia), 35 anni, soffre da molto tempo di forte stipsi e decide di sottoporsi a una visita specialistica presso una clinica di Roma, dove opera un chirurgo specializzato in questo tipo di disturbo. Lo specialista formula la diagnosi di “sindrome da ostruita defecazione da invaginazione rettale e rettocele”, proponendo un intervento chirurgico. Tuttavia, l’operazione, pur eseguita correttamente, ha comportato una serie di complicanze che potevano essere evitate e che hanno pesantemente inciso sulla qualità della vita e le relazioni interpersonali della giovane donna.

Antonella quindi si è rivolta a IUREMED per richiedere, e poi ottenere, un giusto risarcimento.

Stapled TransAnal Rectal Resecion (STARR) – Resezione transanale del retto con doppia suturatrice meccanica: il contesto

La sindrome da defecazione ostruita (ODS) è uno dei problemi clinici più diffusi e che colpisce frequentemente le donne. Da non molto esiste una nuova tecnica chirurgica denominata Stapled TransAnal Rectal Resecion (STARR). È una tecnica mininvasiva per il trattamento della stipsi o delle emorroidi, che consiste nel recidere il prolasso rettale attraverso il canale anale, con uno strumento specifico, una suturatrice circolare. Non occorrono pertanto tagli chirurgici e non restano cicatrici cutanee. Si esegue in anestesia epidurale, in circa 30 minuti, ed è sufficiente un giorno di ricovero.

Il post-operatorio è solitamente indolore e si può riprendere la normale attività dopo 3-4 giorni. Asportando il prolasso rettale, si ricostruisce un retto anatomicamente normale e si rimuove l’ostacolo alla defecazione.

Le complicanze sono rare, soprattutto se l’intervento è eseguito da specialisti esperti.

I Fatti

È il dicembre del 2007 quando Antonella, che soffre da molto tempo di stipsi, decide di farsi visitare da uno specialista presso una clinica romana. La diagnosi è di “sindrome da ostruita defecazione da invaginazione rettale e rettocele”. Lo specialista propone un intervento chirurgico di tipo STARR (Stapled TransAnal Rectal Resection).

Nel gennaio del 2008, Antonella, senza aver eseguito alcun esame strumentale preventivo, entra in sala operatoria per sottoporsi all’operazione.

Dopo l’intervento, è dimessa con la prescrizione di terapia farmacologica e di controlli ambulatoriali successivi.

Nei mesi seguenti però Antonella lamenta gli stessi disturbi di prima, cui si aggiungono l’aggravamento della stipsi e l’urgenza ad andare in bagno, con feci frammentate.

Ritorna dal chirurgo che l’ha operata per una visita di controllo ma senza esito.

Decide quindi di eseguire di sua iniziativa alcuni esami strumentali che confermano il peggioramento dei problemi di defecazione. Evidenziano, inoltre, una distorsione fibrotica in sede anastomica (l’anastomosi chirurgica è tipo di sutura che unisce due visceri cavi per renderli comunicanti), nel setto retto-vaginale, con ostruzione al passaggio delle feci e urgenza fecale.

Per queste complicanze non previste, la donna ha ridotto la propria attività lavorativa di tirocinante presso uno studio legale, subendo anche forti disagi nella vita sociale e personale.

Le responsabilità mediche

Antonella, quindi, presenta ricorso presso il Tribunale civile di Roma per chiedere una consulenza tecnica. La donna ha sempre sofferto di stipsi, nonostante seguisse una corretta alimentazione con assunzione di fibre e bevendo molta acqua. Ma purtroppo non bastava, accusava sempre un senso di pesantezza addominale e per evacuare doveva ricorrere all’uso di lassativi o clisteri ogni 48 ore.

Nel novembre del 2005 esegue una colonscopia che non evidenzia nulla di particolare.

Viene però a conoscenza di un approccio chirurgico per il problema della stipsi ideato da un noto chirurgo. Nel dicembre del 2007, quindi, si reca nella clinica in cui opera lo specialista per una visita.

Il medico non le prescrive nessun esame diagnostico e le consiglia un intervento di resezione del retto con tecnica STARR. I primi di gennaio 2008, Antonella è ricoverata in clinica e subito operata. La prima settimana dopo le dimissioni avverte forti dolori addominali e nella zona pelvica. Dopo 4 giorni dall’operazione, percepisce lo stimolo ad evacuare ma l’evacuazione è dolorosa e le feci sono frammentate con presenza di muco e sangue.

Telefona subito al chirurgo e si sottopone a una visita di controllo dopo un mese e mezzo dall’intervento, riferendo al medico tutti i sintomi. Lo specialista però afferma di non trovare nulla di anomalo e ipotizza che si possa trattare di suggestione piscologica.

Antonella è scoraggiata, ma non si arrende e decide di consultare altri medici esperti. Esegue altri test diagnostici e una terapia a base di nifedipina che purtroppo non porta alcun beneficio.

Dopo la perizia medica, completa di anamnesi e visita obiettiva, gli esperti della CTU richiedono ulteriori accertamenti diagnostici: una manometria ano rettale, una ecografia trans anale 3D, un’elettromiografia e una colpo-cisto-defeco RM dinamica da eseguire presso altri centri medici.

Dalle considerazioni della CTU emerge che il trattamento è stato eseguito correttamente e ha avuto un decorso regolare. Tuttavia, dagli esami prescritti dopo la perizia, in particolare dalla defecoRM, si evidenzia un’alterazione del lume dovuto a un prolasso della mucosa nella parte preanastomotica che causa un ristagno delle feci e quindi impedisce una completa evacuazione.

In complesso, comunque, gli esami non evidenziano alterazioni organiche ma di tipo dinamico, cioè che si manifestano soltanto durante le manovre di ponzamento (cioè di pressione) e che sono responsabili dei disturbi lamentati da Antonella.

La conclusione è che la persistenza della stipsi nonostante l’operazione è una possibile complicanza dell’intervento e che non c’è stato errore chirurgico.

Tuttavia, l’intervento andava eseguito solo dopo il tentativo di risolvere il problema della defecazione ostruita con un approccio conservativo, come una dieta specifica e un ciclo di riabilitazione del pavimento pelvico. In altre parole, vista la sintomatologia, il problema si poteva risolvere senza operazione. Inoltre, quando Antonella tornò dallo specialista per riferire i sintomi, il medico avrebbe potuto approfondire la questione e prescrivere un approfondimento diagnostico e un’adeguata terapia.

La CTU conclude, pertanto, che i postumi dell’intervento hanno aggravato la situazione esistente e ridotto, in modo permanete, l’integrità psicofisica di Antonella (con difficoltà a svolgere mansioni quotidiani) e la sua capacità lavorativa di almeno il 10%.

Il Tribunale ha dunque stabilito, considerando le sofferenze concrete ma anche quelle relative alla vita relazionale ed esistenziale, di riconoscere ad Antonella un risarcimento per invalidità permanente e per inabilità temporanea di euro 34.498,41.

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