Carcinoma mammario non diagnosticato da ecografia al seno
La storia di Elisabetta, 31 anni all’epoca della sua vicenda clinica, inizia nel 2016 e si conclude, purtroppo, tre anni dopo con la sua morte.
La causa è un carcinoma non correttamente diagnosticato che si è rivelato fatale.
I familiari della donna si rivolgono quindi a IUREMED per capire il senso degli eventi che li ha travolti e richiedere un giusto risarcimento.
Carcinoma mammario: il contesto
Secondo i dati riportati nel 2020 dall’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), il tumore della mammella resta la neoplasia più frequente in Italia.
Con più di 54.000 nuove diagnosi in un anno, rappresenta circa il 30% di tutte le neoplasie che colpiscono le donne e circa il 15% dei tumori diagnosticati in Italia.
Tuttavia, se l’incidenza (numero di nuovi casi) cresce leggermente, soprattutto nelle donne più giovani, la mortalità si abbassa.
È una malattia potenzialmente grave se non è riconosciuta e curata in tempo. È causata dalla proliferazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne. Riescono a staccarsi dal tessuto originario per invadere quelli limitrofi e, con il tempo, anche gli organi più distanti.
In via teorica, tutte le cellule del seno possono dare origine a un tumore, ma solitamente il cancro ha origine dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.
Sono diversi i tipi di tumore del seno, così come i metodi di classificazione.
Nella maggior parte dei casi si tratta di carcinomi, cioè tumori che partono dalle cellule epiteliali.
Il carcinoma duttale, invece, si sviluppa dalle cellule dei dotti e può diffondersi anche oltre la parete del dotto stesso. Rappresenta tra il 70 e l’80 % di tutte le forme di cancro del seno.
Il carcinoma lobulare parte, invece, dal lobulo e si può estendere oltre la sua parete. Rappresenta il 10-15% di tutti i tumori del seno e può colpire contemporaneamente i due seni o manifestarsi in più punti nello stesso seno.
Il carcinoma intraduttale in situ è, invece, una forma di tumore non invasiva (o pre-invasiva) con una prognosi favorevole.
I Fatti
Nel 2016 Elisabetta si reca presso uno studio privato per eseguire un’ecografia senologica di controllo. Il referto non presenta nulla di anomalo. Tuttavia, l’anno seguente la donna è ricoverata presso un ospedale di Milano per una forte lombosciatalgia a destra che non le consente di camminare bene. Gli accertamenti medici rilevano un carcinoma infiltrante della mammella sinistra, con metastasi al fegato e al rachide lombare. Da qui il mal di schiena. A questo punto i clinici ospedalieri rileggono le immagini ecografiche dell’anno prima e individuano una formazione irregolare di 9 mm, poco omogenea, che avrebbe richiesto un approfondimento diagnostico con biopsia.
Ormai non è più possibile procedere con la rimozione chirurgica del tumore e i medici propongono a Elisabetta la radioterapia che però rifiuta. È dimessa con l’indicazione di proseguire l’iter diagnostico e terapeutico presso il reparto di Oncologia.
Ai successivi esami eseguiti nel 2018 e nel 2019 il quadro clinico di Elisabetta è peggiorato, non riesce a muovere bene gli arti inferiori e non è autonoma. Si propone nuovamente la radioterapia ma la donna rifiuta ancora una volta. Poiché la sua prognosi è ormai infausta, la donna decide di sottoporsi alle terapie sperimentali del Dott. Di Bella.
Nel 2019 Elisabetta muore.
Le responsabilità mediche
Elisabetta inizia a sottoporsi regolarmente dal 2012 a visite ginecologiche e a ecografia mammaria, come forma di prevenzione. Dall’esame della CTU emerge che la donna si affidava alle cure di un medico specialista in ginecologia che la sottoponeva regolarmente a controlli ginecologici ed ecografici con cadenza annuale.
Nel 2016 il referto dell’ecografia è negativo, nonostante una massa di 9 mm, senza indicazione se nella mammella destra o sinistra, né il quadrante interessato.
Segue un periodo di alcuni mesi senza documentazione clinica e, nel frattempo, Elisabetta dà alla luce il suo secondo figlio. Per questo motivo, non è stato possibile valutare l’evoluzione del cancro.
Il tumore al seno è una delle neoplasie più diagnosticate nelle donne tra i 20 e i 49 anni ed è una malattia complessa e non facile da identificare, se non da un professionista esperto. In caso di sospetto poi è necessario un successivo controllo, anche con biopsia. Un cancro allo stadio I-II (III in casi specifici) è trattato chirurgicamente, in associazione alla radioterapia.
Nel caso di Elisabetta, l’ecografia del 2016 presenta questa formazione sospetta che andava indagata. La successiva ecografia, eseguita in ospedale, infatti, rileva senza dubbio un tumore mammario, ma ormai in uno stadio avanzato. Questo vuol dire che il medico che visitò Elisabetta, con tanto di ecografia nel 2016, avrebbe dovuto sospettare la presenza di una neoplasia e attivare tutti i successivi approfondimenti bioptici.
I medici della CTU ritengono che non sarebbe stata utile la prescrizione di una mammografia o di una risonanza magnetica, poiché avrebbe potuto ritardare ancora di più la diagnosi. Inoltre, qualora l’iter diagnostico-terapeutico fosse stato correttamente avviato nel 2016, la gravidanza già in corso avrebbe condizionato comunque l’iter stesso, limitando le possibili alternative di imaging (mammografia ed RMN con mezzo di contrasto sono controindicate in gravidanza).
Detto questo, gli esperti però confermano l’imperizia del medico specialista che aveva in cura Elisabetta, da considerarsi anche negligente e imprudente per aver omesso la necessità di opportuni approfondimenti diagnostici. Parte da qui il forte ritardo nella diagnosi di cancro, che ha comportato una netta riduzione delle possibilità per Elisabetta di sopravvivere, anche solo per alcuni anni.
I familiari di Elisabetta, il marito e i due figli, avviano una transazione in via bonaria con il medico responsabile, ottenendo un risarcimento.
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