Aneurisma ventricolare complicato da infezione da Stafilococco
La vicenda clinica di cui vogliamo parlare riguarda il signor Marco (nome di fantasia), un uomo di 79 anni ricoverato nel 2018 per aneurisma ventricolare sinistro post-ischemia e sottoposto a un intervento chirurgico di plastica del ventricolo sinistro. L’operazione però ha comportato tutta una serie di conseguenze negative, tra cui una seconda operazione. Durante il ricovero, infatti, il signor Marco ha contratto un’infezione da Stafilococco MRSA che ha comportato uno stato di sepsi (cioè un’infezione estesa a tutto l’organismo), con un danno multiorgano irreversibile e il decesso dopo un lungo calvario.
La figlia si è rivolta a noi per fare chiarezza e verificare se avesse diritto a un giusto risarcimento per il danno subito che, con il nostro aiuto, ha poi ottenuto.
Aneurisma ventricolare: il contesto
L’aneurisma ventricolare è una delle complicazioni dell’infarto. Per “aneurisma” si intende un rigonfiamento anomalo e permanente della parete arteriosa o venosa, causata da un trauma o da un’alterazione. Quando la dilatazione della parete raggiunge livelli critici, il vaso può rompersi causando un’emorragia interna che può portare alla morte.
Nel cuore, di solito, l’aneurisma ventricolare sorge da una zona di tessuto indebolito della parete ventricolare, che si gonfia in una bolla piena di sangue. Questa, a sua volta, può bloccare il passaggio del sangue fuori dal cuore, causando un flusso sanguigno gravemente congestionato. Gli aneurismi ventricolari possono essere fatali.
I Fatti
Nel febbraio del 2018, il signor Marco, 79 anni, è ricoverato in una clinica privata per cardiomiopatia ischemica, con una compromissione della funzionalità sistolica ventricolare abbastanza grave, e dispnea (fatica a respirare). L’indicazione medica è di eseguire un intervento cardiochirurgico di plastica del ventricolo sinistro. Dopo essere stato sottoposto a tutti gli esami clinici del caso, quindi è portato in sala operatoria.
Il decorso post-operatorio non è perfetto. Il signor Marco appare disorientato e molto agitato, ha la tosse, il catarro, la febbre, presenta stranguria (minzione dolorosa), una certa astenia (debolezza generalizzata) e scompenso cardiaco. È trasferito nella struttura di Riabilitazione cardiologica della clinica. Presenta altri sintomi come forti brividi e versamento pleurico, ma soprattutto diastasi sternale e fuoriuscita di materiale dalla ferita chirurgica. È visitato anche da un infettivologo che prescrive una terapia antibiotica. È dunque nuovamente trasferito nel reparto di Cardiochirurgia per essere sottoposto a un intervento allo sterno e, successivamente, a drenaggio pleurico. Gli esami pre-operatori evidenziano però la positività allo Staphylococcus aureus ed è dunque sottoposto a terapia antibiotica.
Il post operatorio, anche in questo caso, non è dei migliori e le condizioni cliniche del signor Marco peggiorano progressivamente. Dopo l’operazione, appare disorientato, soporoso e insofferente all’ambiente ospedaliero, anche dopo il recupero dello stato mentale abituale. Dalla ferita allo sterno continua però a fuoriuscire del liquido sieroso, nonostante lievi miglioramenti. A fine maggio viene spostato nel reparto di Medicina generale per tenere sotto controllo la ferita sternale e le sue condizioni cliniche.
Agli inizi di giugno è traferito nel reparto Lungodegenza riabilitazione motoria. Le sue condizioni sembrano stazionarie, ma poco dopo iniziano ad aggravarsi. Ha la febbre, i brividi, la nausea, è disorientato e cade accidentalmente.
È trasferito al Pronto Soccorso della ASL con trauma cranico, forte disorientamento, parla da solo, respira a fatica e non ricorda di essere caduto. Non ci sono fratture craniche ma la diagnosi medica è “sepsi in recente intervento cardiochirurgico”. È sottoposto a molti esami clinici e diagnostici e a varie terapie antibiotiche. Ma il signor Marco fa ancora fatica a respirare, ha dolore all’addome e al torace, tende al sopore e si fa fatica a risvegliarlo. È dunque spostato in Terapia intensiva, questa volta con diagnosi di “insufficienza respiratoria in sepsi da Staphylococcus aureus” ed è intubato. La situazione si aggrava di ora in ora.
La storia del signor Marco si conclude con il più drammatico degli epiloghi. Il suo decesso avviene a luglio dello stesso anno, dopo 5 mesi di ricovero.
Le responsabilità mediche
La figlia del signor Marco ha voluto fare chiarezza su quanto è accaduto. La problematica cardiaca sembrava migliorata con l’intervento, ma le complicanze post-operatorie e l’infezione contratta in clinica sembravano direttamente collegate alla sua morte.
La CTU (consulenza Tecnica di Ufficio), affidata a un medico legale, a uno specialista infettivologo e a un internista, non ha messo in dubbio che il decorso post-operatorio fu gravato dal sovrapporsi di un’infezione da Staphylococcus Aureus MRSA (resistente alla meticillina) che condizionò il recupero.
Secondo i dati, le infezioni post-cardiochirurgiche da Stafilococco sono una quota rilevante delle infezioni della ferita sternale, con un’incidenza tra lo 0,5 e il 3%. Nonostante la frequenza sia relativamente bassa, questa infezione, tuttavia condiziona significativamente il decorso del paziente, con un aumento dei tassi di mortalità a trenta giorni/un anno, ridotta sopravvivenza a lungo termine e prolungamento della degenza ospedaliera.
In particolare, l’infezione della ferita sternale può interessare il tessuto sottocutaneo, l’osso o il mediastino: in quest’ultimo caso il rischio è la temuta complicanza della mediastinite, caratterizzata da un tasso di mortalità che oscilla tra l’1,1% e il 19%.
Nel post-operatorio sono emersi dei fattori che hanno potenziato il rischio di infezione, come la necessità di eseguire un’altra operazione e le trasfusioni di sangue.
Inoltre, tra le misure preventive post-cardiochirurgiche c’è lo screening nasale di Staphylococcus Aureus. Essere portatore di questo germe aumenta, infatti, di almeno tre volte il rischio di sviluppare infezioni durante le procedure cardiochirurgiche.
Nel caso in questione, è provato che il signor Marco, durante gli accertamenti pre-operatori del primo intervento, fu sottoposto a 3 tre tamponi che si rivelarono negativi.
Dopo il ricovero di febbraio e ulteriori approfondimenti diagnostici, passarono però 15 giorni prima di essere sottoposto a intervento cardiochirurgico.
Dalla ricostruzione dei fatti emerge come fu disatteso il principio generale alla base della prevenzione delle infezioni chirurgiche secondo cui, prima di un intervento, è indispensabile ridurre al minimo indispensabile la permanenza in ospedale.
Gli esperti concludono che il ceppo di stafilococco MRSA sia stato acquisito dal signor Marco durante la prolungata degenza che ha favorito l’instaurazione dell’infezione ospedaliera, aggravando un quadro clinico già delicato.
Quanto all’aspettativa di vita del signor Marco, affetto da scompenso cardiaco ed esposto a fattori di rischio cardiovascolare non trascurabili (fumo, sovrappeso, diabete), è stata stimata in circa uno/due anni. Tale prognosi è stata confermata dalla CTU anche dopo l’intervento chirurgico. La compromissione cardiaca residua, infatti, era evidente già nel post-operatorio e non è stata addebitata al sovrapporsi dello stato settico e alla sua evoluzione sfavorevole.
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