Da Carcinoma duttale della mammella destra a mastectomia totale per mancata radioterapia post-operatoria

Questa è la storia di Barbara (nome di fantasia), 58 anni, ricoverata nel 2003 presso una clinica leccese con una diagnosi di carcinoma duttale in situ della mammella destra per la quale è sottoposta a intervento chirurgico. In seguito, però ha dovuto subire una mastectomia totale per mancato consulto oncologico e trattamento con radioterapia.

Si è quindi rivolta a Iuremed per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale (rispetto allo stato di salute e al danno morale ed esistenziale) e patrimoniale per le spese mediche. Vediamo com’è andata.

Carcinoma duttale in situ della mammella: il contesto

Il carcinoma duttale in situ della mammella (DCIS) è una forma iniziale di tumore al seno in cui le cellule tumorali si sviluppano all’interno dei dotti galattofori ma rimangono “in situ”, cioè non si estendono nel tessuto circostante o in altre parti del corpo. Questa sua peculiarità rende la prognosi molto buona.

Nella maggior parte dei casi non ci sono sintomi. A volte il soggetto può notare un nodulo, una secrezione dal capezzolo o più raramente un arrossamento dell’areola e/o del capezzolo.

Nella maggior parte dei casi quindi si scopre in seguito a una mammografia e rappresenta circa il 20% di tutte le diagnosi nei programmi di screening.

In alcuni casi, è utile eseguire una risonanza magnetica (MR o MRI) per definire meglio l’estensione delle alterazioni e programmare il trattamento più adeguato.

Lo scopo del trattamento è asportare chirurgicamente in modo completo il DCIS per evitare che si riformi o possa diventare un tumore invasivo.

Di solito la chirurgia è il primo trattamento e può essere un intervento conservativo (tumorectomia o quadrantectomia). Si asporta una parte del tessuto mammario con un margine (bordo) di tessuto normale attorno all’area interessata dal DCIS. In alcuni casi può necessaria una mastectomia (asportazione della mammella). La scelta tra i diversi tipi di intervento dipende da vari fattori, come le dimensioni e la sede del DCIS e la grandezza del seno.

Dopo l’intervento, possono essere indicate altre terapie di prevenzione (dette terapie adiuvanti o precauzionali) come la radioterapia e la terapia endocrina.

I Fatti

È il dicembre 2003 quando Barbara è ricoverata presso una clinica di Lecce per subire un’operazione chirurgica. La diagnosi è carcinoma duttale in situ della mammella destra. Il giorno seguente entra subito in sala operatoria per essere sottoposta a un intervento di quadrantectomia destra, con biopsia del linfonodo sentinella. Si chiama “sentinella” perché è il primo linfonodo a essere interessato da una possibile metastasi: è un campanello d’allarme per capire se c’è stata un’eventuale diffusione del tumore. Di cosa si tratta? Con una piccola incisione in sede ascellare dx, grazie a una piccola sonda radioguidata si individua il linfonodo sentinella che viene asportato per un esame istologico estemporaneo.

Negli anni successivi, Barbara si sottopone a tutti i controlli previsti ma scopre, nel giugno del 2013, una recidiva del cancro. È quindi operata nuovamente presso un ospedale di Bari per una mastectomia totale destra residua con linfoadenectomia ascellare.

Per Barbara, il primo chirurgo che l’ha operata ha commesso una serie di errori: ha sbagliato a rimuovere il linfonodo sentinella, non ha prescritto la radioterapia post-operatoria, non ha eseguito una RMN, né richiesto un consulto oncologico. Tali omissioni avrebbero comportato la comparsa di una ricaduta e la necessità di una successiva operazione maggiormente invasiva.

Barbara, quindi, decide di agire per le vie legali contro il nosocomio leccese per ottenere un giusto risarcimento.

Le responsabilità mediche

Dopo l’operazione, Barbara è dimessa con l’indicazione di ritornare in ospedale per il controllo della medicazione. Negli anni successivi, Barbara si sottopone, di sua iniziativa, a ripetuti controlli ecografici e mammografici, che non evidenziano nulla di preoccupante.

Dal 2004 al 2013, con cadenza annuale, la donna esegue ecografie mammarie dal medico che l’ha operata che le prescrive anche mammografie periodiche, che si rivelano comunque tutte negative per neoplasia maligna.

Nel maggio del 2013 Barbara accusa un dolore sotto la zona della cicatrice e si sottopone a nuovi controlli. L’ecografia eseguita dal suo chirurgo evidenzia un’area ipoecogena di circa 25 mm di diametro, cioè una formazione nodulare solida. Il medico le consiglia quindi una mammografia con agoaspirazione della formazione individuata.

Il referto stavolta riporta una sospetta eteroplasia (neoplasia maligna) di 3 cm.

L’indicazione diagnostica è di Tomosintesi, Risonanza Magnetica mammaria ed eventuale prelievo micro-istologico. Quindi, con la conferma del sospetto di eteroplasia, nella stessa zona del primo intervento chirurgico mammario, Barbara si trova di nuovo in sala operatoria, presso un ospedale di Bari, per eseguire stavolta un intervento ben più invasivo: mastectomia totale destra residua con linfoadenectomia ascellare e ricostruzione con mastoplastica.

Ad agosto Barbara è sottoposta anche a chemioterapia e radioterapia. Purtroppo si verifica il rigetto della protesi mammaria e la donna inizia a cedere psicologicamente e ad avere attacchi di panico. È costretta quindi a seguire anche una terapia antidepressiva e ansiolitica.

Il carcinoma duttale in situ è una lesione pre invasiva che senza un trattamento adeguato può evolvere in carcinoma invasivo. Ciò che Barbara contesta ai clinici è la mancata prescrizione di un’adeguata terapia radioterapica e farmacologica e nessun un follow up oncologico specialistico dopo l’intervento.

Il CTU ha, infatti, affermato che “il trattamento radiante dopo chirurgia conservativa trova indicazione al fine di sterilizzare eventuali focolai neoplastici multicentrici subclinici della mammella operata o residui neoplastici nel letto operatorio e quindi ridurre l’incidenza della recidiva mammaria. L’irradiazione della mammella dopo chirurgia conservativa è parte integrante del trattamento conservativo stesso e pertanto da esso non scindibile, se si vogliono ottenere risultati”.

Le conclusioni della CTU hanno, infatti, evidenziato l’inadeguatezza del percorso post operatorio previsto dal chirurgo che ha eseguito l’intervento. Negli anni successivi, ha seguito personalmente Barbara con controlli clinici e strumentali periodici, in particolare di tipo ecografico e radiologico-mammografico, dimenticando di interpellare altri specialisti per una fattiva collaborazione interdisciplinare (raccomandata dalle linee guida). In altre parole, non ha mai interpellato un oncologo e, soprattutto, non ha prescritto la radioterapia post-chirurgica.

Nel 2013, infatti, a distanza di 10 anni, Barbara scopre una recidiva della neoplasia. Sulla base delle linee guida internazionali, la CTU afferma che proprio l’omissione della radioterapia post-chirurgica ha potenziato il rischio della recidiva neoplastica.

La radioterapia post operazione e il consulto oncologico è un trattamento considerato il gold standard delle terapie post-chirurgiche per il carcinoma intraduttale in situ, poiché è in grado di ridurne il tasso di recidiva del 15%.

Il giudice ha stabilito un indennizzo di euro 69.248,00 per danno non patrimoniale e di euro 800,00 per danno patrimoniale.

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