Tromboembolia polmonare fatale per sospensione di eparina
La vicenda della signora Elisa R. (nome di fantasia) rappresenta un esempio emblematico di come, in presenza di pazienti ad altissimo rischio tromboembolico, una gestione non rigorosa della profilassi possa determinare conseguenze drammatiche. È per comprendere se la morte della figlia fosse realmente inevitabile o se, invece, vi fossero state omissioni assistenziali rilevanti, che la mamma si è rivolta a Iuremed.
La consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale ha ricostruito in modo approfondito l’intero decorso clinico, chiarendo i meccanismi che hanno condotto al decesso e individuando con precisione i profili di responsabilità sanitaria.
Una paziente giovane ma ad altissimo rischio trombotico
Elisa R., poco meno che quarantenne, non era una paziente anziana, ma presentava un quadro clinico estremamente complesso. Era affetta da lupus eritematoso sistemico, sindrome nefrosica, ipertensione arteriosa e risultava positiva agli anticorpi antifosfolipidi, una combinazione di condizioni che determina uno stato di marcata ipercoagulabilità del sangue.
A questi fattori si aggiungevano un ricovero prolungato, una condizione di immobilità, un’infezione sistemica in atto e terapie immunosoppressive, elementi che – come evidenziato dai consulenti – collocavano la paziente in una fascia di rischio tromboembolico estremamente elevato, per la quale le linee guida raccomandano una profilassi anticoagulante continua, salvo controindicazioni gravi.
Il ricovero e il progressivo peggioramento clinico
Nel corso del ricovero, avvenuto per una grave compromissione nefrologica e respiratoria, il quadro clinico della signora Elisa R. si è progressivamente aggravato. Alla proteinuria importante e all’anemia severa si sono aggiunte febbre persistente, insufficienza respiratoria ipossiemica e un peggioramento radiologico polmonare compatibile con un’infezione severa.
La consulenza tecnica descrive un quadro pienamente coerente con sepsi, condizione che di per sé altera profondamente l’equilibrio della coagulazione, favorendo la formazione di trombi venosi profondi e aumentando in modo significativo il rischio di embolia polmonare. In questo contesto, la prevenzione tromboembolica assume un ruolo centrale e non differibile.
La sospensione dell’anticoagulante e il punto critico della vicenda
Durante il ricovero era stata inizialmente prescritta una terapia profilattica con eparina a basso peso molecolare. Tale terapia veniva tuttavia sospesa dopo pochi giorni a seguito di un episodio di epistassi.
Secondo i consulenti tecnici, questa decisione rappresenta il nodo centrale della responsabilità sanitaria. In una paziente con un profilo trombotico così elevato, l’episodio emorragico – di entità modesta – avrebbe dovuto indurre a una rivalutazione attenta del bilanciamento rischio-beneficio, ma non a una sospensione protratta della profilassi senza un’alternativa efficace o una pronta ripresa del trattamento.
La CTU critica apertamente la strategia dell’“aspetta e tratta”, sottolineando come essa esponga il paziente al rischio che la prima manifestazione clinica della trombosi sia una embolia polmonare massiva, evento spesso improvviso e letale.
Il collasso improvviso e l’evento fatale
Nelle ore precedenti il decesso, la signora Elisa R. sviluppava un’improvvisa e gravissima insufficienza respiratoria, accompagnata da agitazione, tachipnea e una marcata desaturazione. Il quadro evolveva rapidamente in arresto cardiaco.
Gli accertamenti eseguiti in emergenza mostravano segni elettrocardiografici ed ecocardiografici compatibili con un sovraccarico acuto del ventricolo destro, tipico dell’embolia polmonare massiva. Solo dopo il primo arresto cardiaco veniva avviata una terapia anticoagulante infusionale, quando ormai le condizioni della paziente risultavano gravemente compromesse.
La possibilità di un trattamento trombolitico, teoricamente considerabile, veniva rinviata in attesa di una conferma diagnostica strumentale che non poté essere eseguita in tempo utile. Poco dopo, la paziente andava incontro a un secondo arresto cardiaco, questa volta irreversibile.
Le conclusioni della consulenza tecnica
La CTU giunge a conclusioni particolarmente nette. I consulenti affermano che la signora Elisa R. presentava tutti i requisiti clinici per una profilassi antitrombotica continuativa, con un rischio emorragico giudicato accettabile secondo i principali modelli di valutazione internazionali.
La sospensione prolungata dell’anticoagulante, non adeguatamente compensata, ha avuto un ruolo causale determinante nello sviluppo della tromboembolia polmonare. Viene pertanto riconosciuto un nesso causale modale, temporale ed efficiente tra la gestione sanitaria, l’evento tromboembolico e il decesso.
La consulenza riconosce inoltre che, nel periodo intercorrente tra il ricovero e la morte, la paziente abbia probabilmente maturato consapevolezza del progressivo aggravamento delle proprie condizioni, aprendo anche il tema del danno da sofferenza terminale.
Una vicenda che lascia un insegnamento chiaro
Questo caso dimostra come la responsabilità sanitaria possa derivare non tanto da un errore tecnico macroscopico, quanto da scelte omissive o eccessivamente prudenziali, che non tengono conto del rischio reale e immediato a cui il paziente è esposto. In pazienti complessi e ipercoagulabili, la profilassi antitrombotica non è un dettaglio terapeutico, ma un presidio salvavita.
Grazie all’assistenza dei professionisti di Iuremed, la famiglia della signora Elisa R. ha potuto ottenere chiarezza sulle cause del decesso e far valere i propri diritti.
Chiunque abbia vissuto una situazione analoga, caratterizzata da un improvviso peggioramento clinico durante un ricovero e da dubbi sulla correttezza delle scelte terapeutiche, può contattare il numero verde 800 931 194 per una valutazione gratuita del caso.


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