La Cassazione n. 29054/2025: risarcibili le spese per le cure private e presa di distanza dal “monopolio” milanese sulla capitalizzazione

1. La vicenda e i temi affrontati

La pronuncia n. 29054/2025 della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione — relatore Tatangelo, presidente De Stefano — rappresenta uno degli arresti più interessanti dell’anno in tema di risarcimento del danno alla persona.
La decisione nasce da un complesso contenzioso risarcitorio instaurato da un atleta, rimasto gravemente leso durante una partita di pallacanestro, contro il Comune di San Salvatore Monferrato, la società sportiva organizzatrice e la Federazione Italiana Pallacanestro (FIP).
Oltre alle questioni di responsabilità, la Corte è chiamata a pronunciarsi su due aspetti di portata generale:
– la liquidazione del danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa, con riferimento ai coefficienti di capitalizzazione e al valore da attribuire alle tabelle dell’Osservatorio di Milano;
– la risarcibilità delle spese mediche sostenute in strutture private, anche quando l’assistenza pubblica sarebbe stata teoricamente disponibile.


2. La critica della Cassazione alla “normativizzazione” delle Tabelle di Milano

La Corte respinge con fermezza la pretesa di conferire valore vincolante alle tabelle dell’Osservatorio di Milano relative alla capitalizzazione anticipata delle rendite (ossia la traduzione in valore attuale dei redditi futuri perduti dal danneggiato).
Richiamando Cass. 12408/2011 e Cass. 4447/2014, la sentenza riafferma che le tabelle milanesi non hanno valore normativo, ma costituiscono meri parametri di equità ex art. 1226 c.c., utilizzabili per la liquidazione del danno non patrimoniale, non certo per quello patrimoniale.

La decisione chiarisce che la capitalizzazione anticipata è operazione di natura tecnico-economica e non può essere vincolata a un criterio tabellare uniforme.
Si tratta, infatti, di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, che deve adottare un metodo scientificamente aggiornato e coerente con il caso concreto, potendo utilizzare tassi di rendimento realistici e non “prefabbricati”.

La Cassazione, dunque, nega la possibilità di impugnare una sentenza corretta nel momento in cui è stata emessa solo perché successivamente l’Osservatorio milanese ha pubblicato un criterio più aggiornato o più favorevole.
Ammettere un simile effetto equivarrebbe, secondo la Corte, a trasformare le tabelle in un novum normativo retroattivo, incompatibile con il principio di certezza del diritto e con la funzione stessa del giudizio di legittimità.

Il passaggio più netto afferma che:

“Le tabelle elaborate dall’Osservatorio milanese traggono origine da un censimento delle prassi giudiziarie e non da un procedimento di validazione scientifica vincolante.
Esse non costituiscono fonte di diritto, né possono integrare automaticamente il parametro di equità previsto dall’art. 1226 c.c.”

La Corte richiama inoltre le critiche già mosse dalla dottrina e da parte della giurisprudenza alle tabelle di capitalizzazione del 2023, che avevano sostituito il rendimento dei BTP trentennali con quello dei “tassi pluriennali reali di mercato” proposti da enti europei.
Tali parametri, osserva la Cassazione, non godono di univoca attendibilità e restano “opinabili”, come dimostra la vivace discussione in dottrina.


3. La risarcibilità delle spese sanitarie sostenute in strutture private

L’altro aspetto di grande rilievo della sentenza riguarda la risarcibilità delle spese mediche sostenute presso strutture private, anche quando il danneggiato avrebbe potuto curarsi gratuitamente tramite il Servizio Sanitario Nazionale.

La Corte, richiamando Cass. 29308/2023, ribadisce il principio generale per cui le spese necessarie o utili per la cura delle lesioni cagionate da un illecito sono integralmente risarcibili, a prescindere dal canale sanitario prescelto.
La scelta di rivolgersi a strutture private non costituisce, di per sé, una violazione dell’art. 1227, comma 2, c.c. (che impone al creditore di non aggravare il danno con colpa), a meno che il danneggiante non provi che i trattamenti equivalenti erano effettivamente disponibili nel sistema pubblico con la stessa efficacia, tempi e accessibilità.

Il principio di diritto enunciato è di particolare chiarezza:

“I costi per le spese mediche sostenuti o da sostenersi per trattamenti delle patologie causate da un illecito devono essere integralmente risarciti, pur se effettuati presso strutture private o estere, purché si tratti di trattamenti necessari o utili e la scelta non sia arbitraria, ma giustificata dalle circostanze del caso concreto.”

La Corte, inoltre, precisa la ripartizione dell’onere probatorio:
– spetta al danneggiato dimostrare l’effettiva utilità o necessità dei trattamenti;
– spetta invece al danneggiante, se vuole escludere la risarcibilità, provare che i medesimi trattamenti erano evitabili con l’ordinaria diligenza, cioè facilmente reperibili presso strutture pubbliche di pari efficacia.

La ratio è chiara: l’art. 1227, co. 2 c.c., non può essere usato per imporre al paziente la scelta obbligata del sistema pubblico, perché il diritto alla salute ha valore primario e personalissimo, e il danneggiato conserva la libertà di scegliere dove curarsi al meglio.

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