Tardiva diagnosi di displasia dell’anca congenita

Marianna ha 12 anni, ma la sua storia clinica inizia alla nascita, presso un ospedale veneto. Nei mesi e negli anni seguenti la piccola è seguita dai pediatri della ASL che, nonostante un’andatura anomala sin dai suoi primi passi, non ritengono opportuno eseguire accertamenti diagnostici. Dopo la scoperta di una displasia dell’anca congenita e due operazioni, che non risolvono la situazione, la famiglia di Marianna si rivolge a IUREMED per individuare le responsabilità mediche per la tardiva diagnosi che condiziona pesantemente la vita della figlia.

Displasia dell’anca: il contesto

La displasia congenita o lussazione dell’anca è un’anomalia dello sviluppo che, se non trattata prontamente e in modo appropriato, può portare la testa del femore a spostarsi dalla posizione in cui si trova normalmente, nella cavità dell’acetabolo.

L’anca è composta di due parti: la testa del femore che ha la forma di una sfera e l’acetabolo, la cavità dell’anca che contiene la testa del femore che ruota all’interno.

Nell’ 1-2% dei neonati, l’acetabolo non riesce a contenere la testa del femore, che tende a spostarsi dalla sua posizione. In questo caso si parla di lussazione.

Solitamente, si tratta di un difetto temporaneo dovuto, ad esempio, alla cavità che non si è ancora del tutto sviluppata, c’è un ritardo dell’ossificazione e i legamenti sono ancora deboli.

Con le appropriate terapie, il difetto può risolversi nel giro di qualche mese. È importante che il bambino tenga sempre le gambe il più possibile divaricate verso l’esterno. Questa posizione, infatti, spingerà la testa del femore nell’acetabolo e le due ossa potranno crescere insieme, correggendo il difetto.

Il trattamento della displasia congenita dell’anca cambia in base all’età e alla gravità del quadro clinico. Ci sono quattro gradi di gravità, dalla forma più lieve fino alla lussazione, quando la testa del femore è uscita dall’acetabolo.

Nella maggior parte dei casi, la displasia dell’anca si risolve con l’utilizzo di specifici tutori che immobilizzano le anche del bambino in una posizione corretta, favorendo il normale sviluppo dell’acetabolo.

Prima si fa la diagnosi, più veloce sarà la guarigione. Se la displasia congenita dell’anca, infatti, è diagnosticata tardi, dopo i 6 mesi di vita, il trattamento è più impegnativo e consiste in gessi correttivi che si cambiano ogni mese, generalmente 3, seguiti poi dall’applicazione di un tutore fino alla guarigione.

Nei casi in cui la displasia è particolarmente grave, si deve ricorrere all’intervento chirurgico, seguito dal posizionamento di gessi fino a quando verrà raggiunta la stabilità dell’articolazione.

Raramente, nei casi più gravi e diagnosticati molto in ritardo, potrebbe essere necessario ricorrere a interventi di chirurgia più invasivi, per ripristinare l’anatomia normale dell’articolazione.

I Fatti

Fin dalla nascita Marianna mostra una deambulazione anomala, diversa da quella solita dei bambini. Inizia a camminare a 15 mesi e la mamma nota subito un’andatura strana, traballante, della piccola, ma i pediatri della ASL che la seguono non ritengono di eseguire nessun esame per capire la problematica, rassicurando i genitori che non è nulla di grave, è del tutto fisiologico, e si risolverà con il tempo.

Ma il miglioramento non arriva e a tre anni i genitori decidono di sottoporre la piccola a una RX bacino che riscontra invece una lussazione congenita dell’anca destra, cioè presente dalla nascita. È quindi sottoposta a un gravoso intervento di osteotomia per la riduzione della displasia con l’inserimento di un apparecchio gessato. Nonostante l’operazione e la lunga fisioterapia, la piccola non cammina bene e ha dolore, quindi non può correre o fare lunghe passeggiate oppure sport. Sono tutti aspetti che limitano non poco la qualità di vita di Marianna e influenzano il suo processo di crescita. Non può muoversi liberamente come tutti i suoi coetanei ed esprimere la sua energia vitale. Ciò comporta anche un notevole impatto sulla sfera psicologica con episodi di tristezza e isolamento. Le operazioni cui sarà sottoposta la bambina per tentare di ridurre le conseguenze di quella che fu una diagnosi mancata saranno diverse, un vero e proprio calvario.

Le responsabilità mediche

I tecnici della CTU, esaminando la documentazione clinica, notano che nei libretti pediatrici non c’è alcun riferimento alla displasia, nonostante l’andatura anomala della piccola Marianna. Tra le voci del libretto relative agli screening, inoltre, non è barrato quello relativo al Test di Ortolani, che serve proprio ad identificare un’eventuale displasia dell’anca.

C’è stata quindi, senza particolari dubbi, una tardiva diagnosi di 11 mesi che ha comportato un conseguente ritardato trattamento riabilitativo e due interventi chirurgici, con un danno biologico difficile da negare.

Il recente documento (2020) del Gruppo di lavoro sulla displasia dell’anca, raccomanda che tutti i neonati siano sottoposti a esami clinici da parte del pediatra alla nascita, da ripetere i primi sei mesi, compreso lo screening ecografico.

Il danno biologico permanente è stato valutato pari al 15%.

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