Le complicanze chirurgiche dell’amputazione addomino-perineale secondo Miles
Oreste (nome di fantasia), 56 anni all’epoca dei fatti, è ricoverato presso un ospedale emiliano per essere sottoposto a un intervento di amputazione addomino-perineale sec. Miles in laparoscopia per il trattamento di un cancro al colon retto medio-inferiore, con linfonodi sospetti a livello inguinale.
Il post-operatorio tuttavia si è dimostrato molto complesso, con l’insorgenza di ulteriori problematiche e la necessità di subire altri due interventi chirurgici per alcune complicanze.
Oreste ha quindi contattato IUREMED per capire come sono andate davvero le cose.
Amputazione addomino-perineale sec. Miles in laparoscopia per adenocarcinoma del retto medio-inferiore: il contesto
Il cancro del colon-retto è un tumore piuttosto frequente dopo il cancro alla prostata e a quello della mammella. La sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 66% per il colon e al 62% per il retto, con un miglioramento dei tassi di sopravvivenza grazie ai programmi di screening.
Le cause sono perlopiù sconosciute. Fattori dietetici e stile di vita possono giocare un ruolo di rilievo. In particolare, l’eccessivo consumo di carni rosse, insaccati, farine e zuccheri raffinati, il sovrappeso e la ridotta attività fisica, il fumo e l’eccesso di alcol.
Dal punto di vista terapeutico, generalmente l’asportazione chirurgica radicale è il trattamento principale, poiché comporta una prognosi migliore, sia in termini di sopravvivenza che di qualità di vita.
La scelta della tipologia di intervento chirurgico dipende dalla sede e dallo stadio della neoplasia al momento della diagnosi, nonché dalle condizioni complessive del soggetto.
La resezione chirurgica consiste nell’asportare in modo radicale il segmento di intestino in cui è localizzato il tumore.
Nella pratica clinica si eseguono interventi chirurgici standardizzati, secondo tecniche ormai codificate, tra cui la resezione anteriore del retto e l’amputazione addomino-perineale.
L’approccio laparoscopico è adottato per la maggior parte dei casi ed è considerato alla stregua della chirurgia tradizionale, sia in termini di recidiva locale, sia di sopravvivenza.
I suoi principali vantaggi prevedono un miglior decorso post-operatorio, la riduzione delle complicanze (in particolare quelle legate alla ferita chirurgica), dei tempi di degenza ospedaliera e una ripresa più rapida.
La stomia, invece, è un’apertura creata intenzionalmente tra un segmento del tratto gastrointestinale e la parete addominale anteriore, che consente la fuoriuscita di feci e urina e può essere temporanea o permanente.
Per quanto riguarda il prolasso, consiste nella fuoriuscita dell’intestino dalla stomia. La necrosi, invece, si verifica in almeno il 13% dei casi.
Si tratta di un insufficiente apporto di sangue arterioso nella sede della stomia. La mucosa quindi appare prima pallida, poi cianotica e, infine, necrotica.
I Fatti
Dopo il trattamento coadiuvante di radio e chemioterapia per la riduzione del tumore, Oreste, è sottoposto a un intervento di amputazione addomino-perineale sec. Miles in laparoscopia per il trattamento di un adenocarcinoma del retto medio-inferiore con linfonodi sospetti a livello inguinale.
Le condizioni di salute dell’uomo non sono proprio ottimali. Oreste soffre di bronchite cronica, obesità, un pregresso bypass femoro-polipteo, un’ernia inguinale bilaterale e ha già subito un intervento di colecistectomia (rimozione della colecisti).
Dopo l’operazione, Oreste è dimesso con un decorso operatorio regolare e la prescrizione dell’iter terapeutico da seguire. Durante i controlli post-intervento però i medici rilevano una necrotizzazione della stomia. È dunque necessario un nuovo ricovero e un nuovo intervento. Oreste è nuovamente dimesso, ma al primo controllo con TAC si evidenzia la presenza di anse intestinali prolassate e di laparocele parastomale (un’ernia che si forma sopra una cicatrice chirurgica) che comportano un nuovo ricovero e un’altra operazione di plastica del laparocele.
Dopo le dimissioni, però, Oreste inizia ad accusare sintomi dolorosi e lamenta disfunzione erettile. È quindi sottoposto a una nuova TAC che evidenzia problematiche a livello delle anse intestinali, ernia epigastrica e intasamento dell’ansa ileale. Vista la gravità della sintomatologia dolorosa Oreste entra per la terza volta in sala operatoria. Ma il dolore non passa e coinvolge anche stavolta la stomia.
È prescritta la correzione della recidiva con protesi, previa perdita di peso (almeno 5-10 kg).
Le responsabilità mediche
Oreste vive attualmente alcune problematiche che hanno un notevole impatto sulla vita quotidiana. Non ha più il controllo dello stimolo minzionale e incontinenza urinaria, avverte una sensazione di bruciore ai testicoli e deficit nell’erezione, nonché dolori diffusi all’addome. Segnala ai tecnici della CTU la scarsa empatia del personale sanitario e che dopo il primo intervento non ebbe alcuna indicazione sull’uso di una pancera o altri dispositivi per il post-operatorio. Riferisce poi che fu lui stesso a insistere per un approfondimento diagnostico dopo l’insorgenza del laparocele, solo per questa sua insistenza fu quindi eseguita una TAC.
I tecnici evidenziano la complessità del caso, sia relativamente all’intervento eseguito, sia al post operatorio e alla storia clinica di Oreste.
Tuttavia, alla luce della documentazione esaminata, non scorgono particolari criticità circa l’operato dei sanitari, sia nel momento della diagnosi, sia in quello terapeutico pre-chirurgico e chirurgico. Infatti, viste le caratteristiche del tumore, è considerata corretta sia la scelta di applicare una radio-chemioterapia coadiuvante per ridurre la massa tumorale (che è avvenuta), sia la scelta di tentare una chirurgia radicale con l’amputazione addomino-perineale secondo Miles, in accordo con le più moderne linee-guida.
Per quanto riguarda la stomia, trattandosi di aperture create chirurgicamente tra la cavità addominale e l’ambiente esterno, non è infrequente lo sviluppo di complicanze che presentano un’incidenza variabile dal 14 al 79%; quasi il 50% delle stomie, inoltre, diventa di difficile gestione.
Per quanto riguarda la disfunzione erettile, pur essendo una complicanza nota e, di conseguenza, prevedibile, non era, in questo caso, prevenibile. Considerate le caratteristiche del tumore, un intervento diverso non era, infatti, possibile.
L’unica criticità evidenziabile nell’operato dei sanitari potrebbe riguardare una mancata informazione circa tale complicanza, ma è anche vero che è improbabile che avrebbe modificato la scelta di Oreste di sottoporsi all’intervento chirurgico.
Per quanto riguarda il prolasso (che consiste nella fuoriuscita dell’intestino dallo stomia) può verificarsi con qualsiasi tipo di stomia; la sua incidenza varia dal 7 al 26%, a seconda della posizione della stomia.
Anche lo sviluppo di necrosi/prolasso della colostomia terminale, che ha determinato un altro intervento chirurgico di “riconfezionamento” della stomia dopo meno di un mese, è una complicanza indicata in letteratura e che si verifica in almeno il 13% dei pazienti stomizzati.
Dunque, i CCTTU ritengono che l’iter seguito dai medici, caratterizzato da ripetuti controlli ravvicinati in un soggetto che presentava diversi fattori di rischio per necrosi/prolasso della stomia, appare corretto.
Fa eccezione il non aver messo in atto tutti gli interventi possibili per ridurre il rischio di recidiva. Infatti, secondo la CTU, il trattamento laparoscopico di riconfezionamento condotto con tecnica “key-hole” nel caso di una recidiva non è quello più indicato. Pertanto, il mancato utilizzo di una tecnica chirurgica più efficace per la recidiva di ernia parastomale ha comportato per Oreste un’ulteriore recrudescenza.
Le parti hanno trovato un accordo in via bonaria per risolvere la questione.
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